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Il caso Sgarbi

Cosa c’è nella delibera dell’Antitrust che ha portato Vittorio Sgarbi alle dimissioni da sottosegretario

Sedici incarichi differenti e 300mila euro guadagnati da attività incompatibili con il ruolo di sottosegretario: ecco cosa c’è nella delibera dell’Antitrust su Vittorio Sgarbi, costretto alle dimissioni.
A cura di Annalisa Cangemi
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L'Antitrust ha concluso l’istruttoria di 60 pagine, in cui viene contestato al critico d'arte Vittorio Sgarbi, di aver "esercitato attività professionali in veste di critico d’arte, in materie connesse con la carica di governo, a favore di soggetti pubblici e privati, in violazione legge 20 luglio 2004, n. 215".

Nel provvedimento vengono evidenziati numerosi conflitti d’interesse. Parliamo di spettacoli teatrali, ospitate in tv, lectio magistralis, attività di firmacopie, attività considerate incompatibili con il ruolo di sottosegretario alla Cultura e che gli avrebbero fruttato, solo nei primi nove mesi di governo, una cifra intorno ai 300mila euro. Per questo venerdì Sgarbi ha annunciato le sue dimissioni.

La segnalazione all'Antitrust era stata inviata lo scorso 25 ottobre dal ministro Sangiuliano, che aveva ricevuto via mail una segnalazione anonima dettagliata contenente la lista di presunti illeciti di Sgarbi e della compagna Sabrina Colle.

Cosa c'è scritto nella delibera dell'Antitrust su Sgarbi

Nella delibera vengono menzionati anche i 16 incarichi pubblici e privati ricoperti da Sgarbi, oltre a quello di sottosegretario. Secondo l'Autorità "Sgarbi ha esercitato attività professionali in veste di critico d'arte, in materie connesse con la carica di governo, a favore di soggetti pubblici e privati", in violazione della legge Frattini sul conflitto di interesse.

L'Antitrust precisa poi che l'elemento dell'occasionalità delle attività svolte da Sgarbi, evidenziato nelle memorie difensive, è "del tutto incompatibile con la realizzazione e il mantenimento di una stabile organizzazione di persone e mezzi il cui fine unico è quello di organizzare, gestire e realizzare gli interventi dietro corrispettivo".

L'Autorità cita in particolare il ruolo delle due società Ars e Hestia, "anche sotto il profilo della gestione dei rapporti patrimoniali" con Sgarbi, ricordando che socio e amministratore unico di Ars è Antonino Ippolito, collaboratore storico dell'ex sottosegretario, mentre socia e amministratrice unica di Hestia è Sabrina Colle, compagna di Sgarbi.

"Il principio di dedizione esclusiva alla cura degli interessi pubblici – si legge ancora nel testo – non può, di fatto, essere svuotato di contenuto mediante una indefinita sommatoria di attività che, anche là dove ritenute singolarmente consentite, nel loro insieme difettino dei requisiti dell'occasionalità e della temporaneità, comportando una rilevante sottrazione di tempo e di risorse intellettuali al perseguimento degli interessi sottesi alla carica di governo".

Nel mirino dell'Antitrust è finita anche la vendita al pubblico dei suoi libri firmati attraverso il sito Internet www.vittoriosgarbi.it, ma su questo punto è stata decisa la chiusura del procedimento. "Si deve rilevare – scrive l'Autorità – che, come dichiarato dalla parte e verificato in corso di istruttoria, l'attività di vendita in questione non è più in essere e la relativa sezione del sito risulta essere non più online. Pertanto, si deve ritenere che la condotta in esame sia cessata". 

La difesa di Sgarbi

Il critico d'arte ha già annunciato che farà ricorso al Tar. "Dietro la sistematica campagna di diffamazione non c’è alcuna ‘inchiesta giornalistica', ma l’uso criminale delle accuse di un pregiudicato, Dario di Caterino. Il quale, come ‘vendetta' per essere stato allontanato, ha scritto una lettera di menzogne e diffamazioni, che il giornale e la trasmissione televisiva hanno rilanciato senza preoccuparsi di verificare se le cose scritte fossero vere. È Dario Di Caterino l’autore della lettera anonima. Pensava di non essere scoperto, ma dopo le prime verifiche (cui sono seguite le denunce) è stato presto individuato; solo allora, pensando forse di attenuare la sua posizione davanti all’autorità giudiziaria, ha dichiarato a ‘Il Fatto' di esserne l’autore, fingendosi (lui pregiudicato con diverse denunce alle spalle) quello che non era", si legge in una nota che Vittorio Sgarbi ha diffuso ieri sera.

"Di Caterino – aggiunge – non è mai stato il mio ‘Social Media Manager'; ha collaborato per pochi mesi nella gestione dei miei profili social per le riprese e il montaggio dei video. Non poteva fare altro, del resto, avendo anche seri problemi con la lingua italiana. Mi era stato segnalato durante la campagna elettorale delle Elezioni Politiche per realizzare dei video di propaganda elettorale. Il suo compito dove essere questo e solo questo: realizzare dei video sulle mie attività. Ben presto però, a causa di suoi comportamenti ambigui e ingannevoli (aveva anche inviato delle mail registrando, abusivamente, un dominio a mio nome, fingendosi come un componente della mia segreteria) si è scoperto che aveva alle spalle numerose denunce per truffa, e che per questo era stato arrestato. Circostanza, questa, che ha tenuto nascosta. Anzi, durante il periodo di detenzione, con la complicità della madre, ci disse che era stato ricoverato in ospedale in coma".

"Viste le premesse – continua -, gli fu chiesto di fornire i certificati del casellario giudiziario e quello dei carichi pendenti. Ma inutilmente. Da qui l’allontanamento".

Per Sgarbi "Di Caterino, diversamente da quanto sostengono ‘Il Fatto e ‘Report' (è questo il rigore della presunta ‘inchiesta giornalistica') non è mai stato un ‘collaboratore ministeriale' sarebbe bastato fare una semplice verifica al ministero per appurarlo. I dati a cui ha avuto accesso li ha ottenuti in maniera fraudolenta violando alcune caselle di posta elettronica, reato per il quale è stato denunciato e per il quale c’è una inchiesta in corso. La decisione di allontanarlo nasce da questi fatti".

"Adesso ‘Il Fatto e ‘Report', con la solita opera di manipolazione e con una messa in scena da vero spettacolo teatrale (lui dietro una scrivania, la lampada, la luce soffusa, il vestito buono e l’eloquio serioso di chi deve apparire quello che nella realtà non è) si sforzano di renderlo ‘credibile' agli occhi dei telespettatori, omettendo le sue truffe, le sue sistematiche menzogne, la sua detenzione, la condanna per truffa".

"Ecco – conclude -, questo era necessario ricordare a tutti per capire chi sia questo Dario di Caterino. Ma soprattutto per capire a quali mezzi ricorrono ‘Il Fatto' e ‘Report' per condurre la sistematica opera di diffamazione e delegittimazione cominciata lo scorso ottobre e tutt’ora in corso". 

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