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Opinioni

Come smontare i discorsi dei neoliberisti sul caro affitti per gli studenti

Ingenua o consapevole, la protesta delle tende si contrappone a una bolla speculativa che si nutre di flussi di capitale, rimbomba negli immobili vuoti e si ripercuote sui portafogli delle persone, mentre la gentrificazione svuota le città e le rende vetrine di lusso.
A cura di Roberta Covelli
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Mentre in diverse città d’Italia c’è chi protesta in tenda contro il caro affitti, il dibattito pare ancora una volta polarizzarsi su posizioni semplicistiche, la questione abitativa viene trattata come un capriccio da giovani viziati, incapaci di fare sacrifici: una retorica che ormai si ritrova contro chiunque dissenta o diverga dal modello dominante, e che è il caso di smontare. Anche perché la bolla immobiliare non è solo una questione studentesca e merita risposte, o almeno domande.

L’argomento fantoccio sul diritto all’abitare in centro

Prima di tutto, però, è il caso di sgombrare il campo da una clamorosa fallacia, che vizia ogni ragionamento sulle rivendicazioni degli studenti fuorisede. La protesta in tenda, infatti, non è la pretesa del diritto di abitare in centro: questo è un argomento fantoccio usato da chi, invece di affrontare la questione abitativa nella sua complessità, preferisce distorcere le richieste dei manifestanti, per renderle ridicole e far sì che si squalifichino da sole.

La rivendicazione di prezzi d’affitto sostenibili e di un mercato immobiliare antropocentrico, cioè fondato sulle esigenze delle persone, invece, è una delle questioni attraverso cui rendere effettivo il diritto allo studio: l’università infatti, nella sua dimensione accademica e sociale, non può più essere un privilegio di pochi, ma dev’essere un’opportunità per tutti.

La questione abitativa, però, non è solo studentesca, ma è sociale, economica e, in un certo senso, anche giuridica, e per affrontarla con consapevolezza bisogna superare l’idea che il mercato si regoli da sé, rivedendo le proprie convinzioni su prezzi, domanda, offerta e posizioni dominanti.

Il libero mercato esiste solo in teoria

Il prezzo di un bene si fissa sulla base dell’incontro tra domanda e offerta. Se all’aumentare della domanda il prezzo cresce, appare naturale che in una città con molti servizi il mercato immobiliare, per acquisto o per affitto, sia costoso. Non bisognerebbe stupirsi né lamentarsi di una dinamica naturale, no?

No. Il mercato è una realtà economica, la sua logica non è quella delle scienze naturali, ma quella dei fenomeni sociali, che dipendono da diverse variabili, influenzabili dalle azioni umane.

Il modello economico di libero mercato, con la fissazione del prezzo "giusto" in base all’incontro tra domanda e offerta, ha come presupposto la concorrenza perfetta. Ma la concorrenza perfetta, che implica anche l’informazione completa per tutti gli attori, esiste solo nella teoria economica: sostenere che guidi il mercato immobiliare (come la quasi totalità dei mercati) è una bugia.

Il mercato reale si regge sulla ricerca di un equilibrio tra interessi diversi, che possono essere in diversa misura convergenti, indipendenti, contrapposti. Sull’esito di questa costante negoziazione tra diversi interessi, però, influiscono anche posizioni dominanti di partenza, che si cristallizzano quando ci illudiamo che il mercato si regoli da sé.

Tra mattone e globalizzazione: dai risparmiatori alle holding di real estate

Queste dinamiche diventano ancora più dirompenti se teniamo conto dell’evoluzione sociale degli ultimi decenni, con la finanziarizzazione dell’economia, che ha influito su diversi settori, compreso quello immobiliare.

Nel mercato immobiliare di quarant’anni fa (ma anche di vent’anni fa), a confronto c’erano proprietari e potenziali inquilini. Gli uni con un bene da far fruttare, gli altri con un bisogno abitativo: la negoziazione non è alla pari, la parte dominante è quella di chi ha già un tetto sopra la testa, e mira a guadagnare dall’affitto di un immobile in cui non abita. Questa disparità sociale ed economica è comunque limitata dalla misura medio-piccola del locatore, più o meno empatico a seconda di storia personale, scelte politiche e profili caratteriali.

Un tempo, il proprietario di casa poteva essere un padrone spietato, ma anche un piccolo risparmiatore che aveva investito nel mattone, mentre oggi, tra i protagonisti del mercato immobiliare, soprattutto nelle grandi città, ci sono colossi di real estate, ossia fondi di capitale che si occupano in modo professionale di gestione, compravendita e valorizzazione degli immobili.

Ora, qual è la differenza tra la posizione dominante di un padrone di casa qualunque e quella di una holding di real estate? Dimensione e informazione. Il locatore degli Anni Ottanta, se alzava troppo il prezzo, finiva per ritrovarsi la casa sfitta, e non guadagnare, magari non essendo ancora rientrato nell’investimento iniziale o dovendo sostenere delle piccole spese di mantenimento. Sopravviveva, certo, poteva aspettare di trovare persone abbastanza bisognose da dover accettare i suoi prezzi, che non potevano però alzarsi troppo, né durare troppo a lungo, salvo non rischiare morosità più o meno colpevoli. Chi invece gestisce fondi di investimento, con flussi di capitali ingenti, non ha nessun problema a gonfiare ancora di più la bolla speculativa sugli immobili.

Città e quartieri vetrina: la gentrificazione

A questo si aggiunge poi un fenomeno sociologico-urbanistico, in parte legato a queste dinamiche di mercato, ossia la gentrificazione: valorizzare un quartiere, rendendolo però economicamente non più sostenibile per i suoi abitanti originari.

Accade a Milano, ma anche a Bologna, Firenze, Roma, Napoli: alcuni quartieri diventano vetrine, si svuotano del loro popolo e si riempiono di turisti, o di trasfertisti a breve termine. Così, anche il piccolo proprietario si adagia su questa tendenza: sono meglio 600 euro al mese da studenti o la stessa cifra, in sei giorni, da diversi ospiti, con un bed and breakfast improvvisato?

La questione non riguarda solo l’insostenibilità dei costi residenziali, ma l’effetto sulla fisionomia commerciale, sociale e culturale dei centri urbani: chiudono botteghe storiche e negozi tipici, si perdono spazi sociali e di comunità, mentre aprono attività più redditizie, che spesso svuotano l’identità dei luoghi.

Dalla tenda alla finanza: qual è il ruolo della politica?

Come spesso accade, insomma, il dibattito si atrofizza su luoghi comuni e retoriche sterili, tralasciando la complessità dello scenario per addossare la colpa a qualcuno, in questo caso a giovani definiti viziati o capricciosi per la semplice denuncia di affitti troppo alti. La protesta della tenda nelle città italiane è senz’altro molto diversa dalla mobilitazione che ormai più di un decennio fa condusse al movimento di Occupy Wall Street, ma, a ben guardare, si confronta con lo stesso, impersonale, spettro finanziario: una bolla speculativa che si nutre di flussi di capitale, rimbomba negli immobili vuoti e si ripercuote sui portafogli di studenti e lavoratori. Più che sfottò e prese in giro, questo atto politico di protesta, magari ingenuo ma certo non ingiustificato, merita, se non risposte, almeno domande.

Quali sono le esigenze abitative delle nostre comunità? Qual è l’impatto della questione abitativa sulle disuguaglianze sociali, e quindi sui diritti? Esistono già strumenti giuridici per riequilibrare situazioni socio-economiche tanto dispari? E, se no, non sarebbe necessario elaborarne di nuovi?

E ancora altre domande, quasi riflessioni sulle caratteristiche della nostra società: perché la città, il contesto urbanizzato, è così importante? Perché la provincia, pur popolosa, resta trascurata dall’analisi della realtà, e non sembra mèta di aspirazioni culturali e lavorative? Il livello del trasporto pubblico locale è tale da garantire un pendolarismo efficiente, che non rubi tempo di vita a lavoratori e studenti? E davvero ha senso una società in cui la ricchezza è accumulata nelle mani di pochissimi, pronti a lucrare sul bisogno di casa e di diritti?

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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