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Cittadinanza ai figli degli immigrati? Un segno di civiltà ed equità

L’invito di Napolitano accende il dibattito politico. Plausi da parte dell’UDC e del centrosinistra. Centrodestra diviso: la Lega si infuria, PDL perplesso. Eppure, si tratterebbe di un passo avanti sul piano della civiltà giuridica.
A cura di Rocco Corvaglia
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Giorgio Napolitano

Le parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione dell'incontro con la federazione delle Chiese Evangeliche d'Italia, sulla necessità di operare una revisione del concetto di cittadinanza, stanno dando luogo in queste ore ad un acceso dibattito. Queste le parole del Presidente:  "Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione".

Le reazioni del mondo politico non si sono fatte attendere. Le parole di Napolitano hanno trovato largo consenso tra le file degli esponenti dell'UDC, del Partito Democratico, dell'IDV, di SEL. Pier Luigi Bersani, segretario del Partito Democratico, in occasione del voto di fiducia al Governo Monti alla Camera era stato molto chiaro sulla questione, rivolgendosi in special modo ai deputati della Lega: "Cari leghisti, abbiamo centinaia di migliaia di figli di immigrati che pagano le tasse, vanno a scuola e parlano italiano e che non sono né immigrati né italiani, non sanno chi sono. È una vergogna". Nel centrodestra i commenti sono stati vari. Dalla Lega che ritiene si tratti di un attacco alla Costituzione, al PDL che, per mezzo di Cicchitto, fa sapere che in questo modo "si mette a rischio la vita del Governo" (anche se resta un mistero il senso della connessione individuata dall'On.Cicchitto). La posizione di FLI appare più moderata, con un sì alla cittadinanza ma con i dovuti paletti.

Ancora una volta le parole del Presidente sono un esempio di civiltà e di profonda comprensione della società che ci circonda. Il fatto che Napolitano abbia rilanciato sul tema proprio in questi giorni caldi, rappresenta una ulteriore testimonianza di come egli lo ritenga cruciale per la vita del nostro Paese. E, del resto, come dargli torto. L'esigenza di apportare modifiche alla Legge del 5 febbraio 1992, che attualmente specifica le modalità per il conseguimento della cittadinanza italiana da parte di immigrati stranieri, si avverte con urgenza sia sul piano della civiltà giuridica che su quello della necessità politica.

Quando la Legge del 1992 fu promulgata, sul territorio italiano vivevano poco meno di un milione di immigrati, oggi siamo intorno ai cinque milioni. Basta questo dato per giustificare la necessità di un intervento legislativo. La ratio che sottende la Legge del 1992 è quella del cosiddetto "ius sanguinis". Secondo quest' indirizzo giuridico la cittadinanza si ottiene per mezzo di rapporti "di sangue", per il "fatto" della nascita da un genitore in possesso della cittadinanza. Il fondamento teorico di questa impostazione giuridica è quello espresso dal filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte, che vede in esso un fondamento "oggettivo" per la definizione della cittadinanza, perchè basato su entità certe come la nazionalità, la lingua, l'etnia. A questa visione si contrappone il cosiddetto "ius soli", che esplica una visione che trascende le entità a cui fa riferimento lo "ius sanguinis", spostando radicalmente l'asse del ragionamento. Si tratta di una concezione della cittadinanza che fa riferimento alla nascita sul "suolo", sul territorio dello Stato. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori. La Francia si avvale dello "ius soli" in materia di cittadinanza dal 1515.

L'Italia multiculturale

Immigrati-figli

Bisogna partire da una considerazione preliminare: il multiculturalismo nel nostro Paese è un dato di fatto. Solamente partendo dalla consapevolezza che le cose stanno in questo modo si può avviare una serena discussione sul concetto di cittadinanza. Le crociate anti-immigrati propinateci quotidianamente da una parte del mondo politico, che putroppo trovano consenso in una larga fetta della nostra società, sono semplicemente fuori dalla storia. Non solo per ragioni di ordine etico e morale, ma anche e soprattutto per ragioni di ordine politico, visto il ruolo ormai determinante che gli immigrati svolgono nel nostro sistema economico e produttivo.

Conferire la cittadinanza ai figli degli immigrati sarebbe un passo decisivo sulla via dell'integrazione. In questo modo si andrebbero ad estirpare alla radice le ragioni che spesso determinano il sorgere di sentimenti di emarginazione e subalternità da parte del mondo degli immigrati; sentirsi pienamente parte di una comunità, che senza paura si apre a culture diverse ma che contemporaneamente esige il rispetto delle proprie leggi e delle proprie regole, questo sarebbe il risultato immediato di un rinnovato concetto di cittadinanza. Francamente stupisce  che chi guarda al fenomeno dell'immigrazione soltanto in termini di ordine pubblico, non si renda conto di come questo sarebbe un modo per favorire la convivenza.

Il commento del neo-ministro Riccardi alle parole di Napolitano fa giustamente riferimento al tema dell'integrazione: "Il presidente Giorgio Napolitano ha ragione: c'è la possibilità di riprendere in mano le politiche sull'immigrazione. E dunque occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Perché l'integrazione è un tema centrale di quest'epoca. Lo faremo, allora, nell'interesse del Paese, della generazione dei bambini immigrati e delle loro famiglie".  Ci auguriamo che il Parlamento metta mano in tempi brevi ad una nuova Legge sulla cittadinanza che liberi definitivamente il nostro Paese da incrostazioni xenofobe che, oltre ad essere inaccettabili sul piano del rispetto per la persona umana, sono anche profondamente miopi sul piano politico.


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