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“Chiamateci senatrici e non senatori”: la lettera di 76 parlamentari al presidente La Russa

Con una lettera rivolta al presidente La Russa, 76 parlamentari – uomini e donne – hanno chiesto che a Palazzo Madama venga garantito il “rispetto del linguaggio di genere” e che sia “riconosciuto il diritto di ogni senatrice ad essere chiamata senatrice e non senatore”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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In Parlamento è scoppiata una nuova battaglia sul linguaggio di genere, che non si vedeva da quando la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha chiesto ufficialmente di essere chiamata il presidente, con l'articolo al maschile. La lingua, d'altronde, è veicolo di cultura. Inutile negarlo. Perciò, visto che il centrodestra utilizza il maschile anche per rivolgersi alle senatrici, è esplosa una nuova polemica: in 76 tra senatori e senatrici hanno firmato una lettera consegnata al presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa. La richiesta è chiara: in Aula e nelle commissioni parlamentari deve essere "sempre garantito il rispetto del linguaggio di genere" e "riconosciuto il diritto di ogni senatrice ad essere chiamata senatrice e non senatore".

La promotrice dell'iniziativa è stata la senatrice di alleanza Verdi e Sinistra Aurora Floridia, lei stessa ha raccontato il perché: "In commissione Esteri ho più volte chiesto di essere chiamata senatrice, ma la presidente ha ignorato la mia richiesta". Perciò ha deciso di scrivere un appello ufficiale e presentarlo alla presidenza del Senato. Con lei, hanno firmato gli interi gruppi di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e alleanza Verdi e Sinistra, oltre a singole firme raccolte tra Italia Viva, Azione e le Autonomie.

Nella lettera, si legge:

Il rifiuto di figure istituzionali quali i presidenti di Commissione, ad usare la desinenza femminile – specie ove richiesto esplicitamente – risulta essere, oltre che sgradevole, del tutto fuori dal tempo. L'uso del linguaggio di genere è un alleato irrinunciabile nella battaglia comune per l'eliminazione della violenza contro le donne e sarebbe un vero peccato se il Senato della Repubblica rimanesse arretrato in posizioni del tutto anacronistiche.

I senatori e le senatrici dell'opposizione – non vi alcuna firma da parte di esponenti della maggioranza, almeno al momento – spiegano anche perché si tratti di una scelta conforme alle regole della lingua italiana:

Da oltre 10 anni l'Accademia della Crusca ribadisce l'opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l'assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l'accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata ecc.) così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice ecc.). La decisione o il rifiuto di usare i nomina agentis declinati al femminile rappresenta una scelta individuale che ha delle ricadute potenzialmente non indifferenti sulla progressione dell'emancipazione femminile nella nostra società: ciò che viene nominato, infatti, acquisisce maggiore consistenza, oltre che visibilità, mentre tutto quello che non viene appellato con precisione rimane, in qualche modo, meno visibile, se non altro perché non se ne può parlare.

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