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Chi sbarca in Italia potrà chiedere asilo anche in Francia o Germania: come cambia il Regolamento di Dublino

Sono iniziati i negoziati per cambiare il regolamento di Dublino. Oggi, il Paese Ue che deve gestire le richieste d’asilo è il primo in cui i migranti arrivano, cioè spesso l’Italia. Con la proposta di riforma, questo principio salterebbe per i migranti soccorsi in mare. Ma il governo Meloni finora si è detto poco interessato.
A cura di Luca Pons
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Giovedì 20 aprile sono ufficialmente iniziati i negoziati tra il Parlamento europeo e il Consiglio europeo per una serie di riforme che fanno parte del cosiddetto Patto su migrazione e asilo. Si tratta di una proposta partita a settembre del 2020, su iniziativa della Commissione europea, che negli ultimi due anni e mezzo è stata elaborata e rielaborata dal Parlamento.

Tra i testi che saranno al centro dei negoziati c'è anche la riforma del regolamento di Dublino, che norma le richieste di asilo delle persone migranti che entrano in Europa. Un regolamento molto discusso negli ultimi anni, soprattutto dall'Italia, anche se Giorgia Meloni ha detto che al suo governo non interessa cambiarla.

Ora il Parlamento e il Consiglio (che raccoglie i capi di Stato e di governo dei Paesi membri) si confronteranno per trovare un accordo sulle riforme. Dopodiché, se dai negoziati si arriverà a una posizione comune, servirà un voto di approvazione da parte di entrambi per farle entrare in vigore.

Come funziona il regolamento di Dublino

Il regolamento di Dublino è una norma europea che è stata più volte criticata, in Italia, soprattutto per un motivo: prevede che se una persona entra nell'Unione europea e vuole fare richiesta di asilo, a occuparsene debba essere il primo Paese Ue in cui è arrivata. È il cosiddetto principio del Paese di primo ingresso. Per uno Stato di frontiera come l'Italia, questo ha significato negli anni un carico importante di procedure da gestire. Anche se va ricordato che l'Italia – secondo dati Eurostat – è stata ‘solo' il terzo Paese per numero di richieste di asilo ricevute, negli anni dal 2013 al 2021, dopo Germania e Francia.

La prima forma del regolamento di Dublino fu approvata nel 1990, come un accordo tra i governi. Il regolamento vero e proprio nacque nel 2003 e fu riformato nel 2013. Per questo, l'attuale trattato è anche chiamato "Dublino III". I criteri fissati per stabilire chi deve occuparsi delle richieste d'asilo sono, in ordine: lo Stato in cui si può realizzare il ricongiungimento familiare; se no, lo Stato che in passato ha rilasciato alla persona un permesso di soggiorno o un visto d'ingresso valido; infine, in mancanza di alternative, lo Stato in cui è avvenuto il primo ingresso irregolare nell'Ue. Nella pratica, però, in molti casi si applica il terzo criterio, anche perché i primi due possono essere difficili da verificare.

Cosa cambierebbe per l'Italia con la nuova riforma

La nuova proposta di regolamento, che il Parlamento discuterà con il Consiglio, prevede dei criteri in parte simili, per decidere quale Paese deve prendersi carico delle richieste d'asilo. Ai primi posti c'è sempre il principio del ricongiungimento familiare. Segue, come secondo criterio, quello dei documenti: se una persona migrante arriva in Italia e ha un permesso di soggiorno francese, la richiesta di asilo dovrà essere gestita dalla Francia. Lo stesso vale per un titolo di studio ottenuto in un Paese europeo.

Come terzo criterio c'è di nuovo il primo ingresso illegale: "Se un richiedente è attraversato il confine di uno Stato membro irregolarmente", si legge, "il primo Stato in cui è entrato è responsabile di esaminare la richiesta di protezione internazionale". Tuttavia, per l'Italia c'è una sostanziale novità.

"La regola non si applica se il richiedente è sbarcato sul territorio nazionale a seguito di operazione o un'attività di ricerca e soccorso", recita il regolamento. Questo significherebbe che, per le persone migranti che arrivano in Italia dal Mediterraneo e vengono soccorse da Ong o Guardia costiera, l'Italia non sarebbe automaticamente responsabile delle richieste di asilo.

Non solo, ma subito dopo il regolamento prevede che uno Stato possa, in ogni momento prima di aver deciso su una richiesta d'asilo, richiedere l'assistenza di un altro Paese che si faccia carico di quella persona, anche se non sarebbe responsabile in base ai criteri elencati. Questo può avvenire per questioni di legami sociali, linguistici o culturali, o anche per aiutare uno Stato che si trova in condizioni di "pressione migratoria". Anche questa è una novità rispetto all'attuale regolamento di Dublino.

Il meccanismo di solidarietà obbligatorio e le regole specifiche per gli sbarchi dal Mediterraneo

"Per garantire una equa condivisione delle responsabilità e un equilibrio negli sforzi tra i Paesi membri, dovrebbe essere stabilito un meccanismo di solidarietà vincolante". Così si legge nel testo, che indica anche che questo meccanismo dovrebbe adattarsi soprattutto agli Stati membri "che si trovano sotto pressione migratoria, incluso nei casi in cui questa è legata a ricorrenti arrivi via mare e tramite sbarchi a seguito operazioni o attività di ricerca e soccorso". Insomma, un sistema pensato per assistere obbligatoriamente – e non più su base volontaria come avvenuto negli ultimi anni – i Paesi che affrontano un alto numero di arrivi.

All'articolo 45 del testo, si parla anche di contributi di solidarietà: si tratta di assistenza che uno Stato dovrebbe fornire a un altro, se quest'ultimo si trova sotto pressione migratoria, e che include anche il trasferimento dei richiedenti asilo da un Paese all'altro. La definizione di "pressione migratoria", peraltro, include esplicitamente i Paesi che ricevono "ricorrenti arrivi via mare", se questi arrivi pongono una "responsabilità sproporzionata sui sistemi di asilo" di quei Paesi. In più, se un Paese sperimenta numerosi arrivi via mare, la Commissione europea deve sempre valutare la possibilità che sia sotto pressione migratoria.

Nei casi dei contributi di solidarietà, i tempi dovrebbero essere relativamente rapidi: le informazioni sulle persone da trasferire andrebbero trasferite "il prima possibile" da un Paese all'altro, e lo Stato ricevente avrebbe al massimo 72 ore per confermare la sua disponibilità ad accogliere i richiedenti asilo. Da quel momento, entro una settimana dovrebbe decidere dove accogliere le persone in questione, e il trasferimento dovrebbe avvenire al più tardi entro quattro settimane. Queste tempistiche generali andrebbero poi viste alla luce della regola specifica che dice che, per le persone arrivate in seguito a operazioni di soccorso in mare, le misure di solidarietà dovrebbero essere "rapide ed efficaci" visto lo stato di "vulnerabilità" delle persone soccorse.

L'Unione europea è già arrivata a questo punto, sei anni fa

Nel complesso, la riforma dà una specifica importanza alla rotta migratoria del Mediterraneo, prendendo in maggiore considerazione rispetto al passato le possibili pressioni che il sistema di accoglienza italiano può affrontare. Va detto che non è la prima volta che si arriva a questo passaggio: già nel 2017, il Parlamento europeo approvò l'inizio dei negoziati sul sistema di riforma dell'Unione europea.

Allora, la proposta prevedeva che gli Stati membri dovessero "accogliere la propria quota di richiedenti asilo" e che il primo Paese d'arrivo non fosse più "automaticamente responsabile per il trattamento delle domande d'asilo", prevedendo la possibilità per chi non collaborava di "perdere il diritto ai fondi europei". In quel caso, però, non si arrivò ad un accordo tra gli Stati membri. Il Consiglio europeo non raggiunse mai una posizione comune per iniziare i negoziati, perché non si sciolse il nodo delle quote obbligatorie per ciascun Paese.

A opporsi furono soprattutto i Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Anche Matteo Salvini, da ministro dell'Interno, si oppose alla riforma, tanto da spingere l'allora eurodeputata Elly Schlein a chiedergli perché.

Oggi i tempi sono stretti: tra circa un anno si terranno le nuove elezioni europee, e con un nuovo Parlamento europeo e una nuova Commissione europea ci vorrà parecchio tempo perché si torni a lavorare sulle grandi riforme. La presidenza svedese del Consiglio europeo si è impegnata a concludere i lavori per il Patto su migrazione e asilo, ma è un obiettivo ambizioso.

Il ministro della Sicurezza olandese, Eric van der Burg, ha detto a Repubblica che ci sono due precondizioni per arrivare alla riforma di Dublino: "Da una parte l’Italia e gli altri Paesi di primo sbarco si impegnano a registrare obbligatoriamente tutti i migranti che arrivano e ad aprire la procedura di richiesta d’asilo, dall’altra l’Olanda e gli altri Paesi del nord Europa si impegnano a un meccanismo obbligatorio di solidarietà per l’accoglienza. Però due settimane fa all’Europarlamento Lega e Fratelli d'Italia hanno dichiarato di volere la volontarietà della procedura di registrazione alla frontiera, più che una riforma. Se rimangono su quella posizione, non se ne farà niente". Questo sarà uno dei punti da risolvere sul tavolo del Consiglio nei prossimi mesi.

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