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Buon primo maggio, Millennials: per voi non c’è nulla da festeggiare

La crisi economica innescata dal coronavirus si prospetta peggiore di quella finanziaria del 2008. E le prime vittime saranno ancora una volta i giovani: la generazione dei Millennials, quella dei precari sottopagati, che si è inserita nel mondo del lavoro nel 2008 imparando a dimenticare l’idea di stabilità economica dei propri genitori, e che oro dovrà portare sulle proprie spalle il peso di una nuova recessione. No, per i giovani oggi non c’è nulla da festeggiare.
A cura di Annalisa Girardi
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Non è semplice provare a festeggiare il 1° maggio, il giorno dei lavoratori, nel bel mezzo di una pandemia che potrebbe costare all'Italia circa mezzo milione di posti di lavoro. Non si tratta di pessimismo e distopia: nel documento di economia e finanza (Def) il governo prevede che quest'anno gli occupati saranno il 2,1% in meno. Che in termini numerici corrisponde alla perdita di circa 560 mila posti di lavoro a causa della crisi innescata dalla pandemia di coronavirus. Un bilancio gravissimo, che ancora una volta sarà addossato ai più giovani e al futuro del nostro Paese. Perché saranno i Millennials, una generazione di poveri e precari, a pagare il conto più salato. I nati tra gli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta hanno dovuto inserirsi nel mondo del lavoro nel pieno della Grande Recessione, sognandosi la stabilità finanziaria dei loro genitori: e ora questa generazione di lavoratori a chiamata e sottopagati sarà investita da uno tsunami economico ancora più imponente. In altre parole, non c'è nulla da festeggiare.

Il mondo del lavoro per i Millennials

I Millennials hanno bussato alla porta del mondo del lavoro all'alba di una crisi economica mondiale. In Italia, chi in quel momento si trovava ancora all'università e pensava di aver scampato il pericolo, qualche anno dopo si è trovato a fare i conti con la crisi dei debiti sovrani. Di fatto, i trentenni di oggi hanno iniziato a lavorare nel peggiore dei quadri economici possibile: ragion per cui, in realtà, molti non hanno iniziato affatto. Dati Istat alla mano, nel 2008 il tasso di disoccupazione era pari al 6,7%. Nel 2014 questo è schizzato al 13,5%: il doppio di disoccupati nel giro di pochi anni. E anche se da allora gli occupati sono tornati a salire (con un tasso di disoccupazione all'11,6% nel 2016 e al 9,7% nel 2019), il mondo del lavoro per i Millennials è totalmente cambiato rispetto a quello che hanno conosciuto i loro genitori.

Probabilmente sarà la prima generazione a finire più povera di chi li ha preceduti. Per i giovani la parola futuro è diventata un termine ansiogeno, una preoccupazione costante e onnipresente, costellata da difficoltà economiche in ogni angolo. Nulla a che vedere con il significato a cui rimandava negli anni in cui i Millennials sono nati, quando parlare di futuro voleva ancora dire raccontare un mondo di opportunità e ambizioni. L'uomo era già andato sulla Luna e il sogno americano sembrava il destino di tutti. Ma la crisi del 2008 ha riportato tutti quanti a terra.

Una generazione di precari

Il posto fisso e il contratto a tempo indeterminato, la normalità della vita lavorativa per un over 60, sono diventati un miraggio. Le incertezze e le fragilità economiche figlie della crisi del 2008 hanno creato un universo di rapporti di lavoro instabili, collaborazioni sottopagate, contratti a termine e stages infiniti. I giovani hanno dovuto reinventare completamente le loro aspirazioni, così come le loro necessità, per inserirsi in un mercato del lavoro in cui ci si è ormai abituati all'ennesima scadenza di un contratto da sei mesi, a tirocini retribuiti con voucher dopo due lauree e anni di esperienza, e a collaborazioni a chiamata (o meglio, a notifica) che non diventano mai un'entrata stabile. In altre parole, gli under 35 si sono abituati ad essere precari.

L'indice di povertà assoluta tra i giovani è aumentato: agli inizi degli anni Duemila, un under 35 era in media leggermente più ricco di un cittadino over 65. Oggi quella situazione è capovolta. La ricchezza delle famiglie composte da membri più anziani, appartenenti alla generazione X o a quella dei baby boomer, è 12 volte più grande rispetto a quella di un giovane. Ovviamente tutto ciò ha a che fare con il crollo dell'occupazione giovanile: nel 2007 gli occupati tra i 25 e i 34 anni erano circa 5,6 milioni, mentre dieci anni più tardi sono più o meno 4 milioni. E secondo i dati dell'Inps, mentre sono diminuiti i contratti stabili, a tempo indeterminato, sono aumentati quelli a termine.

Ma per sopravvivere alla crisi i Millennials hanno anche imparato a chiamare dinamicità ciò che prima era definito precarietà. Hanno imparato a destreggiarsi tra più contratti a progetto, a dimenticare l'idea della stabilità economica e personale, a reinventarsi di anno in anno modellandosi alle esigenze di un mercato che non li ha mai favoriti, mandando decine di curriculum al giorno per vedersi spesso rispondere da una notifica automatica.

Le vittime economiche della pandemia

Ora, la protagonista del futuro è una nuova crisi economica generata dalla pandemia di coronavirus, che si prospetta ancora più grave di quella del 2008. Il Pil nel 2020 dovrebbe crollare dell'8%, o più. L'emergenza ha colpito tutti quanti: ma da un punto di vista economico, sono di nuovo i Millennials a essere i più penalizzati. Loro infatti dovranno far fronte a questa seconda crisi mentre sono vulnerabili, ancora in convalescenza dalla Grande Recessione. Mentre non possiedono i risparmi dei loro genitori. Spesso non hanno una casa e guadagnano meno delle generazioni più anziane. Un sondaggio dell'Osservatorio Giovani in collaborazione con Ipsos ha evidenziato come la situazione sia già peggiorata, nel giro di due mesi, per molti under 35. I Millennials sono la generazione meno tutelata dal punto di vista del reddito, che non ha garanzie sul proprio lavoro.

Non è un nuovo 2008: è molto peggio. Dieci anni fa si poteva cercare di sopravvivere al meglio mentre si aspettava che la crisi passasse. Tutti sapevano che sarebbe finita un giorno. Oggi invece è chiaro che nulla tornerà come prima. La pandemia ha colpito ogni angolo della Terra: ovunque sia arrivato il virus, la normalità non sarà più la stessa. Ma è anche vero che ci saranno Paesi in grado di raccogliere la sfida, puntando a un sistema economico più sostenibile, agli investimenti sulle infrastrutture digitali e sulla ricerca. E poi ci sarà l'Italia, che consegnerà il conto da pagare alla generazioni future. Nel nostro Paese, infatti, la risposta alla crisi economica pesa ancora una volta sul debito pubblico. Che un domani dovrà essere abbassato: e toccherà ai giovani sostenere tasse più pesanti, tagliando su riforme e innovazione.

Ma non è tutto: questo sforzo lo si sta chiedendo alla generazione che oggi si è deciso di sacrificare. Le misure messe in campo dal governo per far fronte all'emergenza sono infatti tagliate su misura per una generazione: che non è quella dei Millennials, quella che rappresenta il futuro del nostro Paese. L'esecutivo è intervenuto con finanziamenti poderosi per la cassa integrazione, in modo da assicurare che i lavoratori non perdessero il proprio posto di lavoro: ma alle partite Iva, gran parte delle quali sono giovani, è arrivato solo un bonus da 600 euro. Concesso indistintamente anche a lavoratori autonomi con un reddito medio di 300 mila euro all'anno. Sono state prese delle decisioni che non tutelano tutti i lavoratori allo stesso modo. E molti giovani non sono stati tutelati affatto. Il governo si è preoccupato di bloccare i licenziamenti durante l'emergenza, senza tenere conto che la maggior parte degli under 30 non ha un contratto fisso, ma a termine. Non ha pensato a tutte le persone che si vedranno scadere la collaborazione sottopagata, il contrattato di tre mesi o il progetto al quale si stavano dedicando.

Per cui no: per i giovani oggi non c'è nulla da festeggiare.

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