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Perché “i nostri amici disabili” non si può dire

Se vogliamo abbattere le barriere architettoniche dobbiamo prima abbattere quelle culturali, e lo si fa con una rivoluzione ideologica che passa, appunto, attraverso un linguaggio e una comunicazione adatta.
A cura di Iacopo Melio
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La scorsa settimana un mio post su Facebook ha acceso una bella discussione circa l'importanza delle parole e dei piccoli gesti, involontari ma non meno deleteri, nei confronti della disabilità. Tutto è partito da una frase che Jimmy Ghione ha detto, sicuramente in buona fede, durante un servizio di Striscia La Notizia: "i nostri amici disabili". Al mio far notare che la frase poteva risultare discriminatoria, evidenziando le differenze a mo' di categorizzazione ("i nostri amici cani", "i nostri amici gatti", e quindi la razza dei disabili), l'opinione pubblica si è un po' divisa, prendendo a parer mio spesso sottogamba la questione. Credo allora sia giusto chiarire alcune cose sull'importanza della comunicazione, e lo farò accennando anche al concetto di "Microaggressione".

Partiamo da una premessa fondamentale: se vogliamo abbattere le barriere architettoniche dobbiamo prima abbattere quelle culturali, e lo si fa con una rivoluzione ideologica che passa, appunto, attraverso un linguaggio e una comunicazione adatta. Sono le parole infatti che costruiscono l'idea che si ha di qualcosa, perciò il modo in cui rappresentiamo a parole qualcuno modifica anche l'atteggiamento che le persone avranno verso quel qualcuno. Per fare un esempio banale, finché continueremo a dare del "Tu" ad un disabile adulto, che non conosciamo, mentre ad un abile avremmo dato del "Lei" nella stessa situazione, continueremo anche a pensare che i disabili siano tutti "inferiori", amiconi, o peggio ancora dei bambini.

Per questo non si tratta di "inutili polemiche", come le ha definite qualcuno, ma di accorgimenti quotidiani che messi insieme fanno parte davvero del motore di quel cambiamento che dovrebbe portare ad un'inclusione sostanziale. D'altra parte non sono io a dirlo, ma la "Sociolgia della cultura" spiega bene questo concetto ricordandoci che chi comunica male pensa male. Se vogliamo distruggere le etichette affinché le persone si abituino a vedere tutti allo stesso modo (nel bene e nel male!), dobbiamo anche utilizzare un linguaggio adeguato.
E no, non è vero che "i nostri amici disabili" ha la stessa valenza di "i nostri amici toscani", e che quindi per questa logica tutti i toscani avrebbero dovuto indignarsi, perché questi ultimi non devono lottare ogni giorno per vedere riconosciuti i loro diritti, esattamente come "disabili" o, se vogliamo aggiungere, i "cari amici gay".

Elena e Maria Chiara, due colleghe "carrozzate" che sul loro blog "Witty Wheels" parlano di disabilità in modo ironico e pungente, spiegano bene questo concetto partendo da un presupposto, le "microaggressioni", che come ricordano le ragazze "sono quei piccoli abusi che capitano quasi ogni giorno a chi fa parte di una categoria sociale discriminata, e che possono capitare in momenti e luoghi diversi. Una non ti fa niente, ma se si accumulano diventano un problema". Ho chiesto quindi loro, per farvi meglio capire il senso di questo articolo, quali sono stati nella loro esperienza dei comportamenti bigotti e discriminatori (il più delle volte inconsci e involontari, ricordiamo, il che non è affatto una scusante) che hanno alimentato stereotipi facendole sentire diverse. La lista è a dir poco esilarante!

  • Una sera un’assistente (ora ex) è entrata in camera, dove ero con Maria Chiara, e ci ha assicurato: "io vi vedo come se foste persone normali".
  • Un po' di sconosciuti in vari contesti mi hanno regalato dei rosari, mi hanno fatto gli auguri e mi hanno detto che pregheranno per me.
  • Un professore nuovo, durante la prima verifica scritta, si è piazzato dietro di me e si è rivolto alla mia assistente: "Ah, scrive comunque abbastanza bene però!!".
  • Un sacco di persone mi si scusano quando dicono le parolacce: "Scusa eh, Elena, per come parlo!" E io chiedo, sinceramente interessata al fenomeno: "Perché ti scusi?" E loro non sanno bene cosa rispondere.
  • Io e mia sorella Maria Chiara, entrambe in carrozzina, eravamo in centro. Una donna sconosciuta si è avvicinata con aria ispirata e ci ha detto "Vi ho già visto passare di qui, che brave che siete a uscire! Posso darvi un bacio?".
  • Spesso, quando sono con un'amico maschio, la gente gli chiede: "E… tu sei il fratello?"
  • Un parente, sapendo che dovevo vedere un'amica, ha commentato: "Ah, è in carrozzina anche lei?".
  • Una volta stavo scegliendo un paio di occhiali da sole, quando una signora ha puntato decisa verso di me, a mo' di bulldozer. Mi ha indicato e ha chiesto a mia madre: "Ma perché è messa così?" Mia madre ha perso le staffe come le succede raramente, dicendole che la sua domanda era assolutamente fuori luogo. La signora se n'è andata offesa e stupita perché, si sa, una risposta è sempre dovuta da parte dei disabili.
  • Se sono accompagnata da una persona non disabile, la gente tende a rivolgersi a quella persona invece che a me. Mi ignora, oppure mi infantilizza. Commesse, camerieri, impiegati, seguono una stretta politica secondo cui "prima il bipede, sempre".
  • Sono andata da un paio di parrucchieri e ho detto loro che volevo fare lo shatush. Mi hanno detto: "Cara, non me la sento, è una cosa che non ho mai fatto".
  • Il primo giorno di scuola delle medie, la professoressa di italiano si è avvicinata al mio banco e ha chiesto alla mia assistente: "Ma Elena è intelligente?".
  • Qualche giorno fa un'estranea mi ha chiamato tre volte "cucciolotta", e ho dovuto specificare la mia età per farle capire che non era il caso.
  • In un ristorante o in un bar il menu non mi viene dato il 90% delle volte. I camerieri mi vedono e prendono una decisione sulle mie facoltà intellettive, presumendo che il menu non mi serva.
  • In vacanza in Grecia, la gente mi dava l'elemosina. Sei o sette persone ci hanno dato soldi con aria convinta e abbiamo dovuto mollare quello che stavamo facendo e inseguirle per restituirglieli.

Insomma, non importa essere disabili per comprendere tale disagio: donne, omosessuali, transessuali, persone grasse, gente di colore e altre categorie vengono ogni giorno marginalizzate senza volerlo perché gesti e parole alimentano una cultura del diverso, semplicemente per la superficialità con la quale vengono utilizzati.

Concludo ribadendo che contro Jimmy Ghione non ho assolutamente nulla, so bene che il suo era un discorso fatto in buona fede. Però ha la fortuna di parlare a milioni di italiani, e questa responsabilità va gestita con professionalità… La comunicazione non si improvvisa. Che poi smettiamo col dire che i disabili sono tutti "amici", forti, coraggiosi o bravi. I disabili sono persone, punto. E come tali ci sono i buoni e gli stronzi, i simpatici e gli antipatici, gli intelligenti e gli scemi (nel senso ideologico e non intellettivo del termine)…
Ovviamente di quale tipo io sia, è palese: i palestrati.

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Laureato in Scienze Politiche (curriculum in "comunicazione, media e giornalismo"). Racconta le storie degli altri come giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani e civili. Vincitore del Premio "Cittadino Europeo" nel 2017, è stato nominato "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana" da Sergio Mattarella nel 2018.
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