Il rettore Matteo Lorito lo chiama sempre col nome di battesimo e a lui tutto sommato fa piacere: «Emanuele o Geolier è lo stesso, io so' sempre Emanuele». Dal confronto di ieri alla Federico II con gli studenti e il rapper più popolare di Napoli emergono due dati. Il primo è che l'universo "dei grandi", degli over 30, che per giorni hanno discettato sulla presenza di Geolier all'Università di Napoli non aveva capito niente. Il secondo è che questo ragazzo di 24 anni è stato per l'ennesima volta sottovalutato da chi non conosce il mondo a cui si rivolge. Sottovalutato l'artista, sottovalutato il suo manager Enzo Chiummariello, in prima fila a monitorare che tutto vada liscio.
Invitare Geolier all'università è stata una scelta giusta: ora lo sappiamo perché abbiamo potuto vedere, in un'ora circa di confronto con gli studenti, nella sede di Scampia della Federico II che tipo di confronto ha con ragazze e ragazzi. È sul loro stesso piano, nessun concetto particolarmente complicato, è preso ancora dalla narrazione «dalla cameretta al palco di Sanremo» ma è questo che piace ai tanti che lo ascoltano. L'idea di lottare per il sogno – ripetuta più volte dal ragazzo nato al rione Gescal – fa breccia in un mondo di giovani in ansia per il presente e per il futuro.
Questo flusso di coscienza è sincero: «Ho mille paure e mille ansie prima di un disco come le avete voi prima di un esame» è la frase che ripete più volte. Parla della vita, dalla fabbrica al rap in piazza Ciro Esposito a Scampia fino alle prime esibizioni: «Ho cominciato a lavorare a 9 anni, mi è dispiaciuto non poter studiare, se tornassi indietro forse farei il Conservatorio, o comunque qualcosa che ha a che fare con la musica».
A dire il vero, Geolier non si è dovuto granché preoccupare delle sue risposte perché domande provocatorie non ce ne sono state, né sui suoi vecchi video con qualche arma di troppo in scena né su certe frasi dei suoi testi. Tuttavia, poche ore prima, ci aveva pensato lo scrittore Roberto Saviano a spiegare pure ai più ottusi che il rap è diverso dalla vita vera:
Tu fai un video con un fucile, non è che tifi per il fucile, stai interpretando la strada. Quando si parla di, dice danaro, sessismo, droga, non è propaganda, è autentico.
O pensate che per fare il bene, è necessario soltanto mostrare il bene? E sarebbe facile così. Perché allora, dopo la serie Don Matteo non si fanno tutti i preti? Perché il bene non si afferma tramite il bene, ma è tramite il racconto del male.
Aveva senso, dunque, ascoltarlo. È stata giusta l'iniziativa. E speriamo che la Federico II, la Vanvitelli, il Suor Orsola Benincasa, organizzino più iniziative simili. L'Università è soggetto presente, attivo, vivo e indipendente nella città, non può e non deve essere subordinata a certi «dotti medici e sapienti» che terrebbero le porte chiuse a chiunque non sia loro riconoscibile per censo o titolo di studio.