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Le Marilyn di Warhol e l’Elefante di Dalì, rubati, ritrovati in casa di imprenditore indagato

La Guardia di Finanza ha sequestrato un centinaio di opere d’arte a Milano, in casa di un imprenditore indagato per bancarotta ed evasione di imposte. Ritrovati anche l’ “Elefante” di Dalì, rubato nel 1993, e serigrafie di Marilyn Monroe di Andy Warhol rubate nel 2003. Il valore delle opere sequestrate si aggira intorno ai 450mila euro.
A cura di Nico Falco
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Due serigrafie raffiguranti Marilyn Monroe attribuite a Andy Warhol, rubate in provincia di Pavia nel 2003, e la scultura di bronzo "Elefante" di Salvador Dalì, rubata in Svizzera nel 1993. Insieme a circa altre 100 opere d'arte, molte delle quali provento di furti, e reperti archeologici, per un valore stimato di 450mila euro. Era tutto finito nella casa milanese dell'imprenditore Giuseppe Barletta, indagato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per bancarotta (fallimentare e concordataria) e sottrazione al pagamento delle imposte. Le opere d'arte, 79 tra quadri e sculture, e i reperti, 18, sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Caserta; per l'imprenditore è scattata anche l'accusa di ricettazione.

Secondo gli inquirenti Barletta, attraverso le società da lui controllate, si sarebbe reso responsabile di bancarotta e di una speculazione edilizia all'interno dell'area dell'Interporto di Marcianise-Maddaloni. Attualmente libero, l'imprenditore era finito agli arresti domiciliari nel 2019; in quella circostanza erano state trovate alcune opere d'arte nella sua casa di Milano e da lì erano partite le indagini, col supporto dei carabinieri del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale di Monza, per accertare la provenienza di quegli oggetti.

Molte delle opere risultavano lecitamente acquistate, e intestate alla società proprietaria dell'immobile affittato da Barletta; nel corso degli accertamenti è poi emerso che la società le aveva ottenute dall'imprenditore con una transazione per estinguere un debito di oltre 470mila euro per affitti scaduti e successivamente è stato appurato che la stessa società era riconducibile a Barletta e ai suoi familiari. In pratica si sarebbe trattato di una transazione simulata, che l'imprenditore avrebbe organizzato per fingere di non essere più in possesso delle opere al fine di evitare un eventuale sequestro.

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