Ieri i fumi di un grosso incendio di materiale plastico stoccato ad Airola, provincia di Benevento, hanno ammorbato mezza Campania. La colonna di polveri nere, spinta dal vento di grecale, si è spinta dalla Valle Caudina al Nolano e giù, verso Napoli città e la zona Vesuviana.
A questi disastri sembriamo quasi abituati ormai. Si sa, questa è la "Terra dei fuochi". E che siano spazzatura o plastiche industriali ormai poco importa. Nemmeno un mese fa, a Teverola (Caserta) stesso rogo, stesso disastro. Stessa reazione anestetizzata: di ciò che l'incendio ha diffuso nell'aria non importa niente a nessuno.
Possibile? Possibile che l'eventuale dispersione di diossina e altre sostanze cancerogene passi così, come «cosa ‘e niente», aspettando il prossimo incendio? Le Asi, zone di sviluppo industriale, hanno davvero tutte piani di sicurezza e anti-incendio degni di questo nome? Possibile che nessuno si ponga il problema degli insediamenti industriali, proprio negli anni in cui ormai si parla quotidianamente delle transizioni ecologiche, della sostenibilità ambientale.
È chiaro che questi veleni da qualche parte andranno a finire, mica scompaiono come un granello di polvere sullo schermo del nostro smartphone. E dove vanno a finire? Sul cibo che mangiamo, nell'aria che respiriamo, nell'acqua che beviamo. È sostenibile per un territorio già così provato come quello della Campania, incassare disastri del genere senza almeno porsi il problema?