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Covid 19

No, in Campania sul Covid non abbiamo fatto un miracolo: i dati di oggi spiegati

Eravamo sicuri che la Campania non avesse “fatto un miracolo”. Non perché siamo contro il Sud, ma perché chiunque di noi abbia una minima esperienza di ospedali sa benissimo qual è la situazione dei ricoveri, delle cure, delle liste d’attese, dei ticket.  Domanda necessaria: che avete fatto da marzo a oggi? Risposta possibile? Niente, se non la campagna elettorale.
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Il tempo della campagna elettorale è finito: si è votato per le Regionali in Campania il 21 settembre e sembra un secolo fa, vero? Per tutta l'estate siamo andati avanti convinti che fossimo chissà perché migliori degli altri. Qualche ciarlatano ha attribuito alla Campania una sorta di "scudo protettivo", preso chissà da dove, dal mare, dal sole, dalle bellezze architettoniche. Ma un virus è un virus, è un virus, è un virus come la rosa di Gertrude Stein. E se ne frega di tutte queste cose, compreso del politico ricandidato che per tutti questi mesi ha gridato al «miracolo». Ma era «miracolo!» o «…miracolo» senza esclamazione, alla Massimo Troisi e Lello Arena?

Oggi il De Luca del miracolo suona come una campana rotta: i quasi ottocento contagi al giorno, i morti di Covid che aumentano. Non può essere tutta colpa sua, non è possibile che non sia anche colpa sua. La Regione Campania ha sbagliato a non concentrarsi sulle infrastrutture necessarie ad arginare la nuova ondata di contagi: dove sono gli apparecchi per fare più tamponi? Li stanno comprando ora (ad ottobre!). Dove sono gli ospedali Covid modulari per le terapie intensive? Li stanno collaudando e aprendo ora (a ottobre!). Non ci sono i nuovi medici e i nuovi infermieri, non ci sono i nuovi anestesisti: il sistema sanitario della Regione, a partire dall'ospedale Cardarelli di Napoli in giù è e continua ad essere fallace e disastroso. Eravamo sicuri che la Campania non avesse realizzato un miracolo e non perché siamo contro il Sud o contro Napoli o contro Salerno. Perché chiunque di noi abbia una minima esperienza di ospedali sa benissimo qual è la situazione dei ricoveri, delle cure, delle liste d'attese, dei ticket.

Domanda necessaria: che avete fatto da marzo a oggi? Risposta possibile? Niente, se non la campagna elettorale.

Oggi Vincenzo De Luca non vuole che nessuna telecamera, nessun microfono, nessun taccuino varchi la soglia degli ospedali della Campania, in particolare dell'ospedale Cotugno. Ma quando ha fatto comodo il Cotugno, quando dopo un servizio giornalistico di Sky International lo stesso governatore lo definiva «eccellenza mondiale» le telecamere facevano bene alla salute e ai sondaggi elettorali?

Senza l'occhio dei giornalisti nelle terapie intensive non avremmo mai saputo che stava succedendo lì dove i morti venivano alzati coi camion dell'Esercito. Ora che in Campania la situazione non è da «andrà tutto bene» ma è da «nzomma…» come da ironico cartello di sagace napoletano, non possiamo chiudere tutto e aspettare che passi. Non possiamo obbedire come in una caserma. Si badi bene, non è «dittatura sanitaria» o paura di app come Immuni (come dichiara il sindaco di Napoli, un altro genio della tecnologia e della politica). È voglia, anzi diritto di non spegnere il cervello e cercare di capire, ma capire tutto, ‘o bbuono e ‘o malamente. De Luca smetta di insultare chiunque sui social e si limiti a fare l'istituzione: a settanta e più anni dovrebbe aver capito che è su una bruttissima china e se tira troppo la corda rischia davvero di rompere il rapporto tra l'istituzione e il cittadino (per usare un eufemismo).

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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