Monti rilancia il bavaglio?

«E' evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi», le parole sono quelle di Mario Monti in un'intervista rilasciata al direttore di ‘Tempi', Luigi Amicone. Il riferimento del Presidente del Consiglio è al caso delle telefonate del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, intercettate dalla Procura di Palermo nell'ambito della trattativa tra Stato e mafia. Una vicenda definita «grave» da Monti. Quindi l’avvertimento: «è compito del governo prendere iniziative a riguardo». E così il tema della "stretta" agli ascolti torna in cima all'agenda politica del governo e diventa una delle priorità in materia di giustizia. In tal senso, Monti ha parlato più in generale di «numerose novità legislative», che andranno dall'emergenza carceraria alla lentezza dei processi. Ma l'occhio cade sicuramente sulla riforma delle intercettazioni, sempre cara al Popolo della Libertà e che già lo stesso Presidente della Repubblica un mese fa aveva evidenziato come «questione da tempo all’esame del Parlamento, che meritava già di essere risolta sulla base di un’intesa la più larga possibile».
Ma al di là del sostegno dell'ala giustizialista del Pdl (Fabrizio Cicchitto che ha colto la palla al balzo rilanciando «una incisiva legge sulle intercettazioni, riscrivere parti di quella sulla corruzione e della legge sulla responsabilità civile dei giudici»), le dichiarazioni di Monti sulle intercettazioni non sono state accolte con favore. Antonio di Pietro le ha definite «inaccettabili» e ha parlato di una riforma che «imbavaglierà la stampa, toglierà alla magistratura l'arma principale per combattere la corruzione, terrà i cittadini all'oscuro delle malefatte dei politici» ha detto il leader dell'Idv, puntando il dito contro Monti che «manipola la realtà, difendendo l'indifendibile Napolitano – prosegue Di Pietro – affermando che sia stato intercettato, invece ad essere intercettato è stato soltanto il cittadino Mancino». A fare eco al futuro candidato premier è, con toni più moderati, il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia.
Ho apprezzato molto le parole che il presidente del consiglio Mario Monti ha pronunciato il 23 maggio, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, quando ha detto che l’unica ragion di Stato è la ricerca della verità. Non condivido invece le ultime rilasciate dal nostro presidente del Consiglio sull’operato della Procura di Palermo, ma ovviamente ognuno ha il diritto di sostenere le proprie opinioni.
Ingroia respinge dunque le accuse di abusi nell'inchiesta sulle trattative Stato-mafia e sottolinea come sia di «sollievo leggere le parole di un profondo conoscitore della costituzione come Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della corte costituzionale, che ci ha assicurato che la procura di Palermo non ha commesso alcuna violazione ed ha solo applicato la legge».
Sulla stessa scia di Di Pietro e Ingroia è anche l'associazione Articolo 21: «Ci auguriamo che nessuna norma di quelle contenute nelle precedenti "leggi bavaglio" venga mai ripresentata al Parlamento: qualora dovesse accadere non solo non le voteremmo, ma le contrasteremmo esattamente come è accaduto nel recente passato», scrivono in una nota congiunta il senatore Pd Vincenzo Vita e il portavoce di Articolo 21 Giuseppe Giulietti.