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Uccide e brucia il corpo della vittima, il gip: “Mossali ha pianificato i dettagli e agito in modo crudele”

Il meccanico 53enne Davide Cristiano Mossali accusato di aver ucciso il quarantenne kosovaro Nexhat Rama “ha agito in modo crudele”. Lo precisa il giudice per le indagini preliminari nelle motivazioni della convalida del fermo.
A cura di Giorgia Venturini
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Immagine di repertorio
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Resta in carcere il meccanico 53enne Davide Cristiano Mossali accusato di aver ucciso il quarantenne kosovaro Nexhat Rama, trovato carbonizzato nel bagagliaio di un’auto nella campagne di Cologne (Brescia) ormai una settimana fa. L'uomo, difeso dall'avvocato Stefano Forzani, durante l'interrogatorio di convalida ha negato di essere responsabile dell'omicidio. Ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere: restano le accuse di omicidio premeditato, distruzione di cadavere e detenzione illegali di armi. Secondo quanto scoperto dalle prime indagini, il movente dell'omicidio sarebbe da ricercare nelle questioni economiche: il meccanico aveva un debito nei confronti della vittima di 30mila euro. Quest'ultimo nei giorni prima di morire si era avvicinato al figlio di Mossari per avvertire la famiglia del debito e che il padre non si stava comportando bene.

Il giudice: "Assoluto disprezzo per la vita di terzi"

Il giudice per le indagini preliminari nelle motivazioni della convalida ha precisato che "la personalità dell'indagato denota un assoluto disprezzo per l'integrità fisica e la vita dei terzi e una totale incapacità di tenere a freno i propri istinti violenti e aggressivi". A riportare le parole del giudice è Il Giornale di Brescia che poi ha precisato: "Si è dimostrato persona in grado di pianificare nei minimi dettagli un delitto di elevata gravità del tipo di quello concretamente commesso, del tutto insensibile al rispetto della vita altrui, pronto ad agire in prima persona uccidendo e agendo in modo crudele".

L'indagato era in debito di 30mila euro con la vittima

Il giudice poi conferma che il movente dell'omicidio è da ricercare nelle continue richieste di restituzione del denaro da parte della vittima e dell'avvicinamento al figlio che avrebbe forse spinto il presunto omicida ad agire. Ancora da capire se il prestito era di natura estorsiva o usuraia. Sempre secondo l'accusa il delitto sarebbe stato commesso all'interno dell'officina nel bresciano: i due dipendenti erano a casa. L'indagato aveva poi chiesto alla moglie e al figlio di riferire ai carabinieri che in paura pranzo era con loro. Figlio e moglie avevano poi avuto un ruolo: al primo l'indagato avrebbe chiesto di formattare le telecamere dentro e fuori l’officina e alla moglie di pulire il pavimento dell’officina. Tutte accuse che ora dovranno ancora essere confermate.

Per il giudice "l'assassino ha esploso quantomeno un colpo di arma da fuoco colpendolo alla testa, cagionandone la morte, per poi caricare il cadavere sulla stessa autovettura della vittima, portandola nel luogo campestre in cui poi è stata data alle fiamme, col corpo della vittima al suo interno".

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