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Perché il piano di Regione Lombardia non basta a prevenire i suicidi nelle carceri

Il suicidio di Davide Paitoni è avvenuto il giorno dopo l’approvazione di una delibera sul piano prevenzione rischio suicidario nelle carceri lombarde: un piano che da solo non basta considerate le gravi carenze che gli istituti penitenziari devono affrontare.
A cura di Ilaria Quattrone
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Il suicidio di Davide Paitoni, l'uomo arrestato con l'accusa di aver ucciso il figlio di sette anni la notte di Capodanno, dimostra come il rischio di morte volontaria all'interno degli istituti penitenziari sia ancora elevato. L'atto estremo commesso dal quarantenne arriva a distanza di un mese dagli ultimi suicidi: a inizio giugno, sempre a San Vittore, storico carcere milanese, altri due ragazzi si sono tolti la vita.

La situazione dei carceri, come ha spiegato a Fanpage.it il garante dei detenuti del Comune di Milano, Francesco Maisto, è disastrosa: non è quindi un caso che Regione Lombardia abbia provato a correre ai ripari deliberando, proprio due giorni fa, un aggiornamento del piano di prevenzione del rischio suicidario negli istituti penitenziari per adulti.

La carenza di personale penitenziario e sanitario

Un aggiornamento che sulla carta è impeccabile, ma che deve fare i conti con alcune carenze. Prima fra tutte quella di personale penitenziario e sanitario aggravata ancora di più dal sovraffollamento: "La relazione che hanno messo in campo è fatta molto bene, ma si scontra – spiega a Fanpage.it la presidente della Commissione speciale sulla situazione carceraria di Regione Lombardia, Antonella Forattini – con una carenza fisiologica degli operatori sanitari e del personale penitenziario: dovranno essere trovate le modalità per incentivare il personale sanitario a rispondere alle chiamate che vengono fatte per ricoprire posti all’interno delle carceri".

La creazione di staff multidisciplinari

Come è possibile leggere nella delibera, il piano identifica aree e ruoli specifici assegnati a chiunque entri in relazione con un soggetto a rischio. I direttori degli Istituti insieme ai dirigenti sanitari dovranno creare degli staff multidisciplinari formati da agenti di polizia penitenziaria, funzionari giuridici pedagogici, psicologi, volontari, medici e infermieri: "Sono equipe simili a quelle che siamo soliti vedere negli ospedali come per esempio nei reparti che gestiscono i disturbi alimentari", spiega ancora a Fanpage.it Forattini.

Già dalle procedure di accoglienza, immatricolazione e prima allocazione lo staff dovrà esaminare il caso. Una volta individuato il rischio (basso, medio, elevato) dovrà predisporre un programma individuale che, oltre a elencare i vari interventi, dovrà prevedere l'evoluzione terapeutica del soggetto: "È stata messa in piedi – spiega ancora la consigliera regionale del Partito democratico – un'organizzazione che consente di fornire gli strumenti anche alla polizia penitenziaria per fare la prima indagine, ma è certo che nell'immediato è un progetto irrealizzabile".

Le case comunità nei carceri: la proposta

Per la presidente la delibera – che ritiene comunque necessaria – potrebbe mettere a dura prova il sistema considerate le carenze che è costretto ad affrontare. Per consentirne una piena realizzazione, è necessario quindi mettere in campo altri strumenti: "Nell’assestamento di bilancio che andremo ad approvare, non più tardi di fine luglio, proverò a chiedere, sulla scorta di quanto accaduto nella gestione Covid, che si pensi all’istituzione di case comunità interna a un carcere milanese. In questo modo, potranno essere messe insieme diverse professionalità, apparecchiature, ma soprattutto competenze".

Il ruolo degli altri detenuti

Un ruolo fondamentale è poi riconosciuto agli altri detenuti, ai magistrati, agli avvocati e fino ai famigliari che, pur non avendo competenze cliniche, potrebbero essere necessari nel segnalare situazioni di disagio. Il piano prevede di seguire passo passo il detenuto in tutta la sua vita detentiva (dall'ingresso, alle attività e fino ai colloqui con famigliari e avvocati) così da poter, in caso di malessere o instabilità, poter intervenire in maniera repentina.

La formazione del personale

Per soppiantare a un'altra carenza, quella della formazione del personale, gli operatori dovranno seguire dei seminari e corsi (con una cadenza almeno annuale e anche a distanza) che consentiranno loro di avere una visione più ampia e analizzare le varie reazioni emotive. Corsi che la stessa Forattini ritiene fondamentali: "Il problema della formazione del personale, non va sottovalutato. Anche perché nella stessa delibera vengono chieste professionalità per le quali occorre avere degli strumenti mirati. Per questo, i corsi di formazione del personale devono essere più frequenti".

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