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Perché a Milano Schlein ha stravinto le primarie del Pd (nonostante la dirigenza votasse Bonaccini)

Perché Elly Schlein ha vinto in Lombardia, e stravinto a Milano? Perché il capoluogo lombardo è diventato una roccaforte del Pd, e cosa è diventato il centrosinistra? Cos’è successo alle regionali del 2023? L’analisi del voto con il consulente politico Stefano Origlia.
A cura di Francesca Del Boca
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Elly Schlein, neo segretaria del Partito Democratico
Elly Schlein, neo segretaria del Partito Democratico

Elly Schlein trionfa, e più che mai in Lombardia. Con il 64 per cento delle preferenze contro il 36 per cento di Stefano Bonaccini, è la (stra) vincitrice delle nuove primarie del Pd: a Milano città guadagna addirittura il 72 per cento, contro il 28 per cento dello sfidante. E nelle province in cui il risultato è ben al di sotto della media nazionale, come a Lodi e a Mantova con il 55 per cento, stacca comunque di dieci punti il governatore emiliano.

Come interpretare questo dato? "Sicuramente una notizia che avrà un impatto sull'immagine del Partito Democratico e su come viene percepito dalla cittadinanza", secondo Stefano Origlia di Momentum, consulente politico ex campaign manager di Beppe Sala nel 2016 e di Vincenzo De Luca nel 2015 (nonché consulente per Roberto Cenni nel 2009, primo e unico sindaco di centrodestra eletto a Prato).

Come si spiega la vittoria di Schlein, e di conseguenza come interpretare la sconfitta di Bonaccini? 

Hanno votato circa 160mila persone su 603mila elettori del Pd alle elezioni regionali di qualche settimana fa. Parliamo più o meno di un elettore di centrosinistra lombardo su sette: non credo si possa definire uno straordinario successo di partecipazione. Da un punto di vista quantitativo, queste primarie sono scontri di sensibilità all’interno di una piccola minoranza del corpo elettorale.

Ma il dato interessante è che questa notizia, l’elezione di Schlein, rimbalzerà tra milioni di cittadini, che adegueranno il loro immaginario di Partito Democratico. Insomma, è un risultato di affluenza piccolo, ma che produrrà, a cascata, degli effetti di opinione importanti: li vedremo sostanziarsi nei sondaggi nei prossimi mesi e ne potremo apprezzare le avvisaglie non prima di tre-quattro settimane, cioè in seguito all'assorbimento della notizia e ai primi giri televisivi della segretaria.

Perché in Lombardia il distacco tra i due è stato così netto?

Per due motivi, il primo dei quali è che la Lombardia è altamente urbanizzata e che ha quindi acquisito molto peso alle primarie un elettorato con un tasso educativo e un reddito medio più elevato. Quello che va al voto alle primarie è un elettorato che ha i mezzi materiali per considerare prioritari i valori. Un elettorato, cioè, che non affronta le primarie come lo spazio nel quale si negozia la sua possibilità di arrivare alla fine del mese.

Il secondo fattore che, secondo me, determina in Lombardia un distacco così netto è la continuità tra le scelte fatte dal Pd alle regionali lombarde e la corsa di Elly Schlein: attraverso la candidatura di Majorino è stata attivata e sollecitata a mobilitarsi l'area radicale del centrosinistra, con uno spostamento a sinistra (e verso la benevolenza nei confronti del Movimento Cinque Stelle) del partito e della coalizione.

In sostanza, le regionali sono state il terreno di coltura che ha permesso, poi, si realizzasse il vantaggio di Schlein. Al tempo stesso sempre le regionali hanno contribuito a disattivare l’area opposta, quella che si definirebbe liberale e che correva a supporto di Bonaccini.

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Un successo però apparentemente inatteso.

Quando c'è una volontà di determinare una discontinuità, il candidato che incarna tra parole e immagine questa aspirazione è quello che poi materialmente innesca il traino emotivo più intenso e che vince. Una traiettoria che, però, i sondaggi misurano con enorme difficoltà vista la diluizione della partecipazione al voto.

C'è poi anche un elemento di contesto politico nazionale, dove un governo di destra costringe oggi la sinistra ad alzare i toni. Quando si crea un contesto d'opinione in cui la parola chiave è scontro, vince il candidato più attrezzato per opporre radicalismo a radicalismo.

Quindi Elly Schlein ha vinto anche perché ha saputo in qualche modo interpretare questo bisogno di cambiamento?

Il tema della crisi del Partito Democratico è nell'aria da un pezzo. E chi propone discontinuità, in questo contesto, alla fine vince: se, come in queste primarie, contrapponi un amministratore della continuità del centrosinistra (seppur bravo e vincente) e una figura che non è percepita come tale, pur essendo un’amministratrice a sua volta, alla fine prevale quest'ultima.

Se, idealmente, come sfidante Schlein avesse avuto un amministratore meno noto, ma con tratti spontanei più strategici per restituire l’idea di discontinuità, a parità di dispiegamento di forze, lo scontro sarebbe stato forse più competitivo in Lombardia. Penso al sindaco di Lodi Andrea Furegato, in gamba, pragmatico, e al tempo stesso giovane, con una presenza imponente, ma anche le parole giuste di chi affronta ogni giorno la difficoltà di amministrare.

Tra la sfidante "di rottura" e quello più "conservativo", però, c'è stato un evidente fair play. Nessuna rottura nei toni, nessuno scontro. I tempi della rottamazione sono lontanissimi.

C'è stato un fair play molto positivo e molto intelligente da entrambe parti, nel senso che Bonaccini e Schlein si sono resi conto di avere tra le mani un partito al lumicino. Certo, questa sobrietà ha reso la battaglia meno interessante, le parti meno agguerrite, ma oggi chi deve guidare il Partito Democratico non si può permettere di litigare e creare spaccature. Questo non è più un partito grande, con un potenziale di negoziazione imponente, dotato quindi di un collante verso chi c’è fuori ma anche verso chi è dentro. Nessuno dei due avrebbe avuto la convenienza o la forza di marginalizzare, poi, gli avversari.

Del resto, quello che servirebbe al Pd per diventare competitivo in Lombardia è, detto con grande cautela, una coalizione molto ampia, che vada dalla sinistra al centro, come non è successo a queste ultime regionali sinceramente disastrose.

E, in generale, attenzione all'alleanza con il M5S: funzionerebbe, forse, solamente se Elly Schlein e Giuseppe Conte si sedessero al tavolo e programmassero la coalizione di un grande polo di stampo progressista e dai toni radicali. Ho i miei dubbi, ma chissà.

A Milano Schlein ha raccolto oltre il 70 per cento, e la forbice con Bonaccini è più larga che mai: si può davvero dire che il capoluogo lombardo sia ormai una vera e propria roccaforte del Pd. Come mai qui attecchisce così bene?

Dal 2011 in poi Milano si è spostata decisamente verso sinistra. C'è stato un cambio di sensibilità complessivo nella popolazione, anche legato al ricambio generazionale e di cittadinanza. Ci sono redditi alti e tasso educativo elevato. La città di Gabriele Albertini adesso va stretta ai milanesi.

Perché è così progressista? Perché Milano è una città benestante, nel complesso. Che di conseguenza soffre di meno per i bisogni di base e si può permettere di guardare alla dimensione dell’identificazione e dell’autorealizzazione. Questo si vede proprio nelle elezioni fortemente selettive come le primarie. Una dinamica che si osserva in tanti centri urbani con forti capacità attrattive.

La dirigenza dem milanese e lombarda, con alcune eccezioni (tra cui, appunto, Pierfrancesco Majorino), era però tendenzialmente schierata dalla parte di Bonaccini. Adesso cosa succede?

Bella domanda. A mio parere, Milano è un luogo nel quale il Partito democratico ha raggiunto un equilibrio nel quale si rispettano i cambi di maggioranza e minoranza. Quindi, secondo me, esiste una via milanese nella quale si acquisisce il buon risultato di Schlein senza bisogno poi di farlo valere con le classiche marginalizzazioni, come probabilmente succederà in altri luoghi.

Cosa deve fare adesso Elly Schlein, neo segretaria del Partito Democratico?

Dal punto di vista comunicativo, Schlein ora deve allargare il giro della comunicazione. Potrà andare sui media nazionali come segretaria e raccontare una storia diversa del Partito Democratico. Non dovrà tradire il radicalismo che l’ha fatta eleggere, certo, ma dovrà anche iniziare a esprimere valori e obiettivi condivisi dalla coalizione ideale che dovrebbe andarsi a formare un giorno. Il Pd da solo non va da nessuna parte.

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