Migranti trattenuti più a lungo nel Cpr di Milano per rimpatriarli in Marocco, nonostante il terremoto
Nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli, a Milano, la maggior parte dei trattenuti viene dal Marocco, Paese colpito da un terremoto in cui almeno 2.900 persone sono morte, oltre 5mila sono ferite e interi quartieri sono andati distrutti, ma nessuno sta valutando se le condizioni del Paese consentano ancora il rimpatrio.
Il rimpatrio è possibile perché "i voli sono attualmente attivi"
Il caso segnalato a Fanpage.it è quello di Jamal (nome di fantasia), nato in Marocco, dove ancora si trova parte della sua famiglia. Jamal non ha contatti con loro da prima del terremoto, scoppiato mentre lui era già trattenuto nel Cpr. Non sa in quali condizioni sia casa sua né se i suoi familiari siano ancora vivi. Vive a Milano dal 2017, ha precedenti penali per piccoli reati e si trova nel Centro di via Corelli da un mese. Ci è entrato dopo che la polizia lo ha fermato senza documenti in uno dei controlli di routine.
Il 21 settembre sarebbe scaduto il termine di trattenimento previsto dal provvedimento con cui è stato rinchiuso. Nel frattempo, il suo Paese è stato colpito dal terremoto, interi quartieri sono stati distrutti e migliaia di persone sono state sfollate. La Questura di Milano però non ha rivisto le sue condizioni per il rimpatrio. Anzi, al giudice di pace la Polizia ha chiesto che il trattenimento di Jamal fosse prorogato perché alla questura serviva più tempo per acquisire i documenti per il viaggio.
All'udienza di proroga, quando l'avvocato dell'uomo ha chiesto che fosse rilasciato perché nel suo Paese era in corso un'emergenza umanitaria, il giudice ha deliberato che Jamal fosse trattenuto ancora un mese, perché per la questura "i voli sono ancora attivi" e questo è sufficiente a rinnovare la detenzione amministrativa di altri trenta giorni.
Qual è la situazione in Marocco oggi
Oltre 300mila persone sono state colpite dal terremoto in Marocco, tra persone decedute, ferite e sfollate. La regione in maggiore difficoltà è quella sud-occidentale, in particolare l'area delle montagne dell'Alto Atlante, a 70 chilometri da Marrakech.
Organizzazioni come Croce rossa segnalano che lì alcune zone non sono ancora raggiungibili da soccorsi e mezzi umanitari. Per Carine Holt, direttrice delle operazioni della Federazione internazionale delle società di Croce rossa e Mezzaluna rossa, manca acqua "sicura e pulita" in mote zone del Paese e questo rischia di causare "un disastro nel disastro".
I voli aerei da e per il Paese continuano non hanno mai smesso di essere attivi anche nelle zone più colpite, come Marrakech, e i principali aeroporti del Marocco funzionano normalmente. Tuttavia, intere aree sono state devastate dal sisma, centinaia di edifici sono crollati, gli sfollati dormono ancora all'aperto o in tende, e alcuni villaggi raggiungibili soltanto con strade non asfaltate sono isolati perché i detriti del terremoto hanno bloccato gli accessi.
I trattenuti nel cpr di Milano
Secondo gli ultimi dati forniti dalla prefettura di Milano e aggiornati al 19 settembre 2023, sono 17 le persone provenienti dal Marocco rinchiuse nel cpr di via Corelli. È la nazionalità di maggioranza, su un totale di 48 trattenuti.
Nonostante il terremoto abbia danneggiato vaste aree del Paese, il protocollo sui rimpatri in Marocco per ora non è stato rivisto. Si lavora sui singoli ricorsi anche se tutti hanno le stesse necessità. Tutte le persone di origine marocchina trattenute non sanno se i loro familiari sono vivi o morti, né se la loro casa sia stata distrutta dal crollo. Riportarli indietro ora potrebbe voler dire costringerli a una vita da sfollati.
Da tempo attivisti, avvocati e giornalisti, anche su Fanpage.it, denunciano le condizioni in cui si vive nel Cpr di via Corelli. Le immagini che arrivano da quel luogo hanno documentato vermi nel cibo e condizioni disumane, nonché un uso massiccio di psicofarmaci.
Queste condizioni hanno portato molti trattenuti a tentare il suicidio, incendiare materassi e intraprendere forti azioni di protesta, come cucirsi la bocca con il fil di ferro. A testimoniare contro le condizioni perfino un ex poliziotto che lavorava lì, che ha raccontato: "È come un girone dell'inferno".