L’ex assessore leghista che uccise un uomo: “Giravo armato perché conoscevo importanti segreti d’ufficio”

"Sono detentore di importanti segreti d'ufficio": è così che Massimo Adriatici, l'ex assessore leghista al Comune di Voghera, aveva giustificato il possesso del porto d'armi per difesa personale alla giudice Maria Cristina Lapi, che il 23 luglio 2021 lo ha interrogato a seguito del suo arresto avvenuto per aver sparato e ucciso il 39enne Younes El Boussettaoui. Quell'interrogatorio è stato trascritto solo oggi ed entra così di diritto nel processo che si sta svolgendo al tribunale di Pavia. Adriatici, ex poliziotto e avvocato, ha raccontato che proprio durante il suo servizio da poliziotto avrebbe accompagnato "i collaboratori di giustizia nelle aule bunker" e perciò sapeva dove vivevano, conosceva il loro vero nome e li avrebbe anche incontrati per le strade del comune pavese.
Il porto d'armi per difesa personale
Il fatto che l'ex assessore, soprannominato lo sceriffo di Voghera, girasse per strada armato è stato tra i più discussi. Fin da subito era emerso che Adriatici avesse un porto d'armi per difesa personale. Come all'epoca dei fatti avevano spiegato a Fanpage.it, questi particolari porti d'armi sono rilasciati a coloro che dimostrano un effettivo rischio per la propria vita. La giudice, all'epoca dell'interrogatorio, aveva chiesto perché lui avesse un porto d'armi del genere. L'uomo aveva spiegato di averlo perché "il prefetto valuta che cosa uno ha fatto nella Polizia". E aveva poi aggiunto: "Ho svolto numerose indagini, soprattutto per droga, che hanno portato a degli arresti importanti".
La pistola e i proiettili
L'ex assessore ha sempre sostenuto di aver sparato per legittima difesa: ha sempre sostenuto di aver avuto una colluttazione con la vittima davanti a un bar di piazza Meardi, di aver ricevuto uno schiaffo e di aver esploso un colpo dalla sua Beretta calibro 22. E negli anni la discussione si è accesa proprio sulla gestione dell'arma (Adriatici ha affermato di girare con il colpo in canna e senza sicura) e sui tipi di proiettili utilizzati. Fondamentale, per entrambi i punti, sono le perizie balistiche svolte da tutte le parti. I Ris di Parma hanno spiegato che lo sparo è stato effettuato a una distanza compresa tra i 35 e i 90 centimetri, mentre stava cadendo e dopo che era stato colpito dal 39enne. Sempre nel 2021 gli avvocati che difendono la famiglia, avevano sostenuto che Adriatici avesse utilizzato inoltre proiettili vietati persino in guerra perché caratterizzati da un'alta probabilità di uccidere rispetto a quelli normali.
Il processo
Adriatici è attualmente a processo con rito abbreviato ed è accusato di omicidio volontario. In un primo momento era stato rinviato a giudizio per eccesso colposo di legittima difesa, ma la giudice Valentino Nevoso ha ritenuto il capo d'imputazione non adeguato alla ricostruzione dei fatti. E in particolare modo ha fatto riferimento a come l'ex assessore sia stato ripreso da una telecamera mentre eseguiva un "servizio di ronda armata e di pedinamento" nei confronti di un uomo "già oggetto di segnalazioni". Inoltre ha ricordato che nella pistola erano stati caricati proiettili "a punta cava, utilizzabili in poligono e non per difesa personale" e che un colpo era già "in canna". Il 26 novembre si svolgerà l'udienza in cui ci sarà la requisitoria del procuratore Fabio Napoleone e le conclusioni degli avvocati dei familiari di El Boussettaoui. Si tornerà in aula il 16 dicembre, quando parleranno i difensori dell'ex assessore, e infine il 30 gennaio quando ci sarà la sentenza.