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Il capo dell’antimafia ai futuri sindaci: “Schieratevi subito contro la ‘ndrangheta”

Mancano poche ore e poi alcuni cittadini lombardi saranno chiamati alle urne. Il capo della Direzione Distrettuale Antimafia Alessandra Dolci lancia un appello ai futuri sindaci: “Schieratevi subito contro la ‘ndrangheta. Prendente le distanze dai professionisti e aziende vicine alla criminalità organizzata”.
A cura di Giorgia Venturini
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Mancano ancora poche ore e poi 237 comuni lombardi saranno chiamati al voto. Questo vuol dire che verranno eletti 237 sindaci. Una volta al potere i primi cittadini sono chiamati a schierarsi subito dalla parte giusta: bisogna prendere immediatamente le distanze dalla criminalità organizzata, presenza fissa al Nord così come al Sud. Ma come? E in quali settori i futuri sindaci sono chiamati ad alzare la soglia di attenzione? Fanpage.it lo ha chiesto al Procuratore aggiunto e capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano Alessandra Dolci.

Procuratore, qual è il suo appello per i futuri sindaci della Lombardia?

Prima di tutto dico a loro di iniziare con il piede giusto. Ovvero prima di salire in municipio devono distinguere bene tra i potenziali lettori e soprattutto non devono andare a chiedere i voti a soggetti in odore di criminalità organizzata, come spesso accade in Lombardia.

Un problema ancora reale in Lombardia?

Assolutamente sì, purtroppo. Abbiamo ben documentato anche negli ultimi tempi comportamenti di candidati sindaci, o cittadini candidati alle varie lista, che sono andati a chiedere voti a persone già condannate per 416bis o comunque vicine alla ‘ndrangheta. Ecco perché è necessario che il futuro sindaco decida di partire bene. Poi, una volta vinta la competizione elettorale il primo cittadino deve fare intendere subito da che parte stare. Lo slogan che abbiamo lanciato in questo ultimo periodo è proprio "Scegli da che parte stare". Mai come ora è importante farlo capire subito ai propri cittadini.

Come?

Mostrando rigore, trasparenza, presa di distanza da soggetti vicini alla criminalità organizzata. Non fare affari con imprese che si sa essere vicine a famiglia di ‘ndrangheta. Queste persone devono essere subito isolate. Mentre deve essere valorizzato un comportamento che una volta era usuale nelle piccole realtà. Sono figlia della provincia: un tempo nei piccoli comuni quando qualcuno deviava dalla retta via gli si faceva il vuoto intorno e per recuperare la fiducia e il rispetto dei propri cittadini ce ne voleva. Questo non accade più da decenni.

La ‘ndrangheta è soprattutto nei piccoli comuni?

La ‘ndrangheta preferisce le realtà medie piccole perché è più facile intrattenere la rete di relazioni con gli imprenditori e gli amministratori locali. Ma anche con pubblici ufficiali e professionisti che operano sul territorio. Spesso si parla di una mafia a-territoriale, ma per me la ‘ndrangheta è invece ancora legata al territorio.

Solo pochi giorni fa, a distanza di poche ore l'uno dall'altro, sono andate a fuoco due ditte di rifiuto. Una a Cermenate (Como) e una a Varedo (Monza e Brianza). Il pericolo rifiuti e incendi è qualcosa che deve far preoccupare i sindaci?

Su questo tema i primi cittadini devono elevare la soglia di attenzione. Purtroppo nel giro di due giorni si sono verificati due distinti episodi. Gli incendi, soprattutto in imprese di stoccaggio rifiuti, non è una battaglia vinta. Anzi in Lombardia siamo solo all'inizio. Per questa è richiesta la collaborazione di tutti i pubblici amministratori.

E spesso dopo gli incendi è difficile bonificare l'area

Sono tanti i comuni interessati dal problema delle bonifiche, problema grave che deriva dai costi troppo alti. E quasi sempre i responsabili non sono in grado di coprire i costi e anche le amministrazioni comunali non hanno la capacità economica. C'è un fondo regionale che però non copre tutti i siti. Quindi indubbiamente la bonifica delle imprese che andiamo a sequestrare piene di rifiuti sono un problema per le amministrazioni comunali: i siti dovrebbero essere riqualificati in tempi rapidi.

Tra poche ore si apriranno i seggi elettorali. La campagna elettorale è finita. Eppure sono pochi i candidati che nei vari comizi hanno deciso di affrontare il tema della lotta alla mafia. Spesso si limitano a firmare della campagne, nate soprattutto da associazioni antimafia. Secondo lei perché?

In Lombardia vince ancora l'idea che la mafia e la ‘ndrangheta c'è, ma sta nel comune vicino. Il candidato vuole sempre dare un'immagine positiva del proprio paese. Invece nascondere la polvere sotto il tappeto non serve a nulla. Ci tengo però anche a precisare che non mancano in Lombardia amministrazioni che organizzano eventi sulla lotta alla mafia e aderiscono a iniziative come quelle di Avviso Pubblico.

Cosa potrebbero fare i sindaci oltre che schierarsi subito dalla parte giusta?

Potrebbero dedicarsi maggiormente alla riqualifica dei beni confiscati alla criminalità organizzata: è necessario che questi beni abbiano una rinascita sociale. Non possiamo permettere che un bene dopo la confisca si abbandoni al degrado: vuol dire dare un'immagine negativa dell'intervento dell'autorità giudiziaria e dello Stato. Dobbiamo sempre invece mettere una bandierina che sventola alta. Non possiamo permettere che qualcuno ci dica che finché quel bene era del mafioso era ben curato e ora no. Per questo i sindaci devono essere sensibilizzati su questo tema: devono trovare un accordo con le prefetture e con l'agenzia nazionale dei beni confiscati e trovare dei finanziamenti per attivare dei progetti di riqualifica.

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