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Elezioni regionali Lombardia 2023

Diana De Marchi, candidata Pd: “Basta discriminazioni negli orientamenti scolastici”

Intervistata da Fanpage.it, la candidata alle regionali in Lombardia per il Pd Diana De Marchi parla dei problemi dell’inserimento nel mondo del lavoro. “Dobbiamo intercettare le persone che non si fidano più dei centri per l’impiego”.
A cura di Enrico Spaccini
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Docente e portavoce delle Donne democratiche Lombardia, Diana De Marchi ha deciso di candidarsi per un posto da consigliera regionale in Lombardia alle elezioni del 12 e 13 febbraio 2023. Ha partecipato attivamente alla costituzione del Partito democratico e dal 2016 è consigliera comunale a Milano, cosa che le ha permesso di inquadrare i problemi della quotidianità, dal caro affitti al servizio di trasporto pubblico con tutte le sue falle. Intervistata da Fanpage.it racconta: "Ci sono colleghi insegnanti che mi raccontano degli affitti assurdi che devono pagare e questo è dovuto anche al fatto che i mezzi non gli garantiscono di arrivare in tempo al lavoro nel caso in cui decidessero di vivere fuori città".

Da gennaio 2022, è delegata della Città Metropolitana di Milano al Lavoro e Politiche sociali: "Dalla mia esperienza ho capito che non basta aiutare le persone a cercare un lavoro, ma bisogna accompagnarle in un percorso formativo, ne va del loro futuro".

Secondo lei come si può intervenire sul problema dell'inserimento lavorativo?

Gli strumenti ci sono, ma non c'è un sistema che governi e misuri la loro efficacia per fare in modo che si possa correggere quello che non funziona. Manca una misurazione costante di efficienza e qualità non solo dei sistemi formativi che vanno innovati a fronte della richiesta del territorio, ma anche della ricaduta sul mondo occupazionale. Per quanto riguarda l'inserimento lavorativo, non basta dire di aver trovato un'occupazione alla persona che ne cercava una, ma bisogna anche capire quanto quel posto resta di qualità e per quanto tempo. Quello che c'è è assolutamente inefficace e inefficiente.

Ho visto nella Città Metropolitana di Milano quanto possiamo fare per migliorare le nostre proposte dei centri per l'impiego e le collaborazioni con gli enti che si occupano di formazione, per andare incontro a esigenze formative nuove e collegarle alle richieste delle aziende. Oggi, però, le persone non vengono ai centri per l'impiego pubblici, li ritengono superati perché per tanto tempo gli hanno proposto una formazione che non era quella richiesta dal territorio.

Ora abbiamo iniziato un percorso che ci porta a intercettare le persone che possono rientrare nelle occupazioni, ci siamo inventati un hub lavoro in un centro commerciale. Siamo orgogliosi delle nostre innovazioni, ma dobbiamo costruire un percorso condiviso con tutte le province con un legame che ancora non c'è: vuol dire che non stai programmando lo sviluppo della tua regione.

I dati parlano di un 80-90 per cento di ragazzi che trovano lavoro entro un anno dal diploma in un istituto professionale. In molti casi, però, si tratta di posti precari che non danno alcuna garanzia al giovane lavoratore.

Le persone vanno accompagnate nella scelta della formazione: si trovano davanti una serie di proposte e non sanno né quali sono le proprie competenze, né cosa vogliono fare. Poi, però, una volta individuata l'occupazione giusta si deve capire anche quanto dura, cosa gli garantisce per il suo futuro. Ragazzi e ragazze sono inseriti in un sistema di precariato fatto di stage rinnovati, ritrovandosi senza nessuna prospettiva e con retribuzioni del tutto insufficienti per rendersi indipendenti.

Credo che si debba portare il Patto per il lavoro a livello regionale. Così metti insieme tutti i soggetti che possono portare formazione di qualità e un lavoro buono, imprese, sindacati, e ragioni sulla costruzione di percorsi di qualità misurandoli con un'occupazione che sia dignitosa e non di sfruttamento.

Perché gli istituti professionali sono ancora oggi considerati scuole di seconda fascia rispetto ai licei?

La considerazione di serie b è un prodotto culturale a cui ha contribuito anche la riforma Moratti, che indica il liceo come sola scuola buona. La realtà, invece, è ben diversa. I docenti che vanno a insegnare negli istituti professionali sono particolarmente motivati, sanno di arrivare in un luogo poco considerato e fanno di tutto affinché venga superata la concezione comune.

Il problema alla base è l'orientamento, che a volte viene svolto in modo non professionale. Si tende a spingere chi non ha capacità eccellenti alle scuole professionali. Invece deve essere fatto da professionisti, che ci sono, che sappiano riconoscere le capacità delle persone e valorizzarle indirizzandole verso la strada che vogliono, senza discriminazione.

Perché le discriminazioni nell'orientamento ci sono, spesso viene fatto ragionando sulla provenienza, sul ceto, sul cognome, su stereotipi che ingabbiano le scelte. Dobbiamo essere capaci di capire la persona e cosa vuole fare. In un mondo del lavoro che cambia le professioni sono diverse, se vengono offerte capacità che vanno incontro alle richieste la formazione professionale è la prima in campo.

Condivide l'idea di differenziare gli stipendi dei dipendenti pubblici e degli insegnanti a seconda della regione in cui lavorano?

In generale, lo dico da insegnante, gli insegnanti guadagnano troppo poco per il lavoro che fanno ma hanno le stesse difficoltà di tanti altri. Io farei prima che gli insegnanti che devono spostarsi per lavoro ricevano delle agevolazioni in modo che abbiano la capacità di affittarsi un appartamento e farsi una vita dignitosa. Forse un incentivo se sei in una regione in cui sei costretta a fare la pendolare. Nella nostra area metropolitana abbiamo un caro affitti che è enorme anche per chi vive e lavora qua da sempre. Intanto bisogna efficientare quello che c'è. Il trasporto pubblico che dovrebbe garantirti di raggiungere il luogo di lavoro in sicurezza, non funziona. E quindi sei costretto a usare la macchina, a spendere di più, oppure ad abitare in centro a Milano.

Sugli incentivi non sono mai contraria, perché se possono aiutare a vivere meglio ben vengano. Farei in modo però che i servizi che hai a disposizione fossero davvero agevolati se ti devi spostare. Avere un sistema che preveda che ci sono persone da fuori che vengono a lavorare qua. Sento dei colleghi che prendono stanze a prezzi assurdi. Quindi magari anche un controllo sulle cifre che vengono offerte per stare qua mi parrebbe importante.

Privatizzare Trenord può essere una soluzione?

Si chiama trasporto pubblico locale, e pubblica deve essere la regia. Oggi è 50 per cento regionale e 50 per cento statale, così si rimpallano continuamente le responsabilità. Basterebbe per la Regione avere il 51 per cento per poter fare delle scelte precise in modo da cambiare un sistema inefficiente. Il tenere l'ambiguità del metà e metà è una scelta politica, in modo da scaricare sempre le responsabilità sull'altro.

La regia deve restare pubblica, perché il pubblico è in grado di dare un buon servizio. L'idea del pubblico debba essere sempre un sistema che non funziona ha le sue motivazioni, ma noi possiamo smontarla. Certo, bisogna farlo funzionare.

Un po' quello che accade anche nella sanità.

La tendenza è la stessa: non è che il pubblico non funziona, è che è gestito male. Nessuno dice di eliminare il privato, perché serve, ma la regia deve restare pubblica. Deve essere un 50-50, con il privato che non fa solo esami e visite che riguarda solo ambiti che consentono pagamenti alti. Che si metta in convenzione in modo chiaro e che il privato accreditato faccia anche gli esami che rendono poco ma sono necessari. Sennò continua a essere, come in questi ultimi 28 anni, un sistema privato che sostituisce il pubblico che però prende soldi pubblici.

Dove deve lavorare ancora la Regione Lombardia in in termini di diritti delle donne?

I consultori pubblici sono stati dimezzati in questi cinque anni, ma hanno una funzione importantissima per l'accompagnamento e il sostegno alle donne e non solo prima e dopo la maternità. C'è bisogno di cura e vicinanza per contrastare un disagio pericoloso. Non è l'ospedale il luogo in cui bisogna andare, ma appunto i consultori. Per non parlare della legge 194 che non viene applicata. Intanto iniziamo ad applicarla, poi dobbiamo fare prevenzione ed educazione sessuale nelle scuole. Si deve essere liberi nella scelta se diventare o meno madre. È un cambiamento radicale che serve in una regione come questa che si sta allontanando dal sostegno della libertà di scelta delle donne.

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