173 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Caso camici, tutto quello che non torna della difesa di Fontana

Si è difeso in aula al Pirellone Attilio Fontana, indagato per frode in pubbliche forniture per la vicenda della fornitura di camici alla Regione da parte della Dama spa, azienda del cognato, sollevata da un’inchiesta di Report. C’è qualcosa che non torna, nella sua difesa. Il governatore leghista prima ha detto che non sapeva nulla dell’accordo, minacciando querele, e poi ha detto che l’ha saputo, ma solo dopo. Inoltre Fontana non solo si è occupato direttamente della questione, proprio perché era coinvolto un suo famigliare, ma lo ha fatto nel bel mezzo di un’emergenza e lo ha rivendicato, gestendola come se la Regione fosse “un affare di famiglia”.
A cura di Francesco Loiacono
173 CONDIVISIONI
Immagine

Tre domande, tre questioni fondamentali sono quelle a cui il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, indagato per frode in pubbliche forniture per la vicenda della fornitura di camici alla Regione da parte della Dama spa, azienda del cognato, dovrebbe provare a rispondere a tutti i cittadini lombardi. Non lo ha fatto questa mattina durante il suo intervento-fiume in Consiglio regionale, nel quale si è difeso semplicemente contrattaccando chi ha sollevato il caso, parlando di "polemiche sterili strumentali e lesive della mia persona e dalla carica che ricopro", dicendo di non poter tollerare "che si dubiti della mia integrità a di quella dei miei familiari". Insomma, senza un minimo di dubbio o autocritica, come d'altronde avvenuto durante tutta la gestione della pandemia di coronavirus che nella sola Lombardia, regione più colpita d'Italia, ha fatto 16.801 vittime ufficiali.

Il governatore aveva detto che non sapeva nulla dell'accordo, poi che l'ha saputo dopo

Il primo punto è il seguente: perché il governatore leghista prima ha detto che non sapeva nulla dell'accordo tra Aria e Dama spa, minacciando querele, e poi ha detto che l'ha saputo, ma solo dopo? Il caso è ormai noto ma merita un passo indietro. Riguarda una fornitura di settemila set costituiti da camice, copricapo e calzari al costo di 9 euro e di 75mila camici al costo di 6 euro che Regione Lombardia, attraverso la sua centrale acquisti Aria, ha ordinato il 16 aprile all'azienda Dama Spa di proprietà del cognato di Fontana, Andrea Dini, e della quale la moglie del governatore (estranea all'inchiesta) detiene una piccola quota. La fornitura, un ordine con tanto di fattura del valore di 513mila euro, viene però stornata il 22 maggio, trasformandosi così in una donazione. Nel mezzo ci sono i giornalisti della trasmissione d'inchiesta Report e le loro domande. Un dettaglio che alimenta in molti il sospetto che la "donazione" (sulla cui effettività sono però in corso le indagini della procura, che non si ritrovano pienamente con le cifre e sostengono che Dama Spa non abbia regalato tutta la merce, ma abbia cercato di piazzarne sul mercato una parte) sia stato solo un modo per cercare di mettere la toppa a un caso di conflitto di interessi che rischiava di diventare scottante.

Proprio quando "Il Fatto quotidiano" anticipa l'inchiesta di Report, che va poi in onda l'8 giugno, Fontana in una dura nota parla di "ennesimo attacco politico vergognoso, basato su fatti volutamente artefatti e scientemente omissivi per raccontare una realtà che semplicemente non esiste", e dice che "agli inviati della trasmissione televisiva ‘Report' avevo già spiegato per iscritto che non sapevo nulla della procedura attivata da Aria spa e che non sono mai intervenuto in alcun modo". Oggi però il governatore al Pirellone ha "cambiato idea", dicendo: "Dei rapporti negoziali tra Dama e Aria non ho saputo fino al 12 maggio scorso".

Fontana è intervenuto direttamente nella vicenda camici nel bel mezzo dell'emergenza

Strettamente legato al primo punto è il secondo: al contrario di quanto sostenuto in un primo momento, e cioè di non essere mai intervenuto, sempre da quanto emerso dal suo intervento oggi al Pirellone è venuto fuori che non solo Fontana se n'è occupato direttamente, proprio perché era coinvolto un suo famigliare, ma lo ha fatto, rivendicandolo, nel bel mezzo di un'emergenza che avrebbe meritato la completa attenzione del presidente della Regione: "Poiché il male è negli occhi di chi guarda ho chiesto a mio cognato di rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni", ha detto Fontana. Al di là dei modi con cui il governatore ha cercato di "tamponare" la situazione – avrebbe cercato di bonificare 250mila euro al cognato, a mo' di parziale compensazione per l'ordine sfumato, dal conto di una fiduciaria in Svizzera -, il punto che Fontana dovrebbe chiarire a tutti i cittadini lombardi è perché il loro governatore abbia dovuto sottrarre tempo ed energie per occuparsi di una vicenda che non ha nulla a che fare con la "cosa pubblica", proprio durante il periodo più difficile vissuto dalla Lombardia (e da tutta Italia) dal Secondo dopoguerra.

La Regione non è casa Fontana, e la Lombardia non è solo Lega

Anche il terzo punto è legato ai precedenti. Anche questo è un punto politico che le eventuali conclusioni giudiziarie della vicenda non potranno intaccare. La gestione di un'emergenza si fonda su procedure corrette, non su imprenditori che danno una mano o cognati che non pagano. La Regione non è "casa Fontana", mentre la gestione di quest'aspetto dell'emergenza ha rivelato una gestione decisamente casereccia di questioni importanti. Vero è che la Lombardia si è trovata di fronte a uno tzunami e, come ha detto lo stesso Fontana, per "tutte e 5 le ditte che avevano convertito le produzioni" è valsa "la medesima procedura". Ma nessuna delle altre aziende che "hanno visto acquistati le loro merci e i loro camici con quantità e costi unitari e differenti", è evidente, era di proprietà di un parente del governatore, che però sembra non cogliere il punto.

Legato a quest'aspetto c'è anche la natura della difesa del governatore sia in questo caso sia nelle altre inchieste che coinvolgono al momento la Regione. Fontana, e con lui i politici della maggioranza, specie i leghisti, riconducono tutte le accuse che stanno piovendo sulla gestione dell'emergenza a un "attacco alla Lombardia". Non è però così: come la Regione non è casa Fontana, così la Lombardia non è solo la Lega. Gli attacchi e le critiche sono al massimo al sistema di potere che ormai da decenni si è insediato in Lombardia, si è consolidato e che spinge chi ne fa parte a rispondere anche con arroganza a ogni attacco, sentendosi ingiudicabile. Lo dimostrano le parole che Fontana ha usato alla fine del suo intervento al Pirellone, mentre consiglieri del Carroccio esponevano le bandiere della Rosa camuna, simbolo della Lombardia: "Sono il presidente della Regione Lombardia, il presidente di questa Giunta, il presidente che non si è arreso al Covid 19 che non è arretrato davanti a una pandemia e non intende arrendersi innanzi a nulla", ha dichiarato Fontana. Le opposizioni adesso ne chiedono le dimissioni, anche se non si sa ancora quale sarà la loro strategia. Ma è più ai cittadini, che non ai politici, che Fontana dovrebbe cercare di chiarire tutti gli aspetti poco chiari di una vicenda che secondo lui è "molto semplice e banale". Immaginatevi se fosse stata complessa.

173 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views