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Migranti, Hotspot e Cie: un fallimento che crea solo clandestinità

Per il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani, che ha curato una nuova relazione sui centri, “l’Italia tollera all’interno del proprio territorio e del proprio sistema istituzionale che vi siano luoghi così orribili”. Costruiamo recinti e mettiamo il filo spinato “laddove dovremmo invece elaborare strategie razionali e intelligenti per l’accoglienza”.
A cura di Claudia Torrisi
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A settembre del 2014 la commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato ha redatto un rapporto sui centri di identificazione ed espulsione – i Cie. Nella relazione queste strutture venivano definite "centri strutturalmente afflittivi, spesso inadeguati nei servizi offerti", con "profonde incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere" e "modalità di trattenimento inadeguate rispetto alla tutela della dignità e dei diritti". A distanza di più di un anno i Cie sono ancora in piedi: le condizioni all'interno non sono state modificate un granché, ma sono avvenuti alcuni cambiamenti esterni che hanno influito sul sistema. Primo fra tutti l'adozione lo scorso maggio dell'Agenda europea sulle migrazioni in materia di "identificazione, trattenimento ed espulsione dei cittadini stranieri" (di cui Fanpage.it si è occupato qui) e l‘apertura dei cosiddetti hotspot nei luoghi di sbarco. Due aspetti che, secondo la nuova relazione della commissione Diritti umani, sono "tra loro strettamente collegati". "L'innovazione rappresentata dalla realizzazione dei primi hotspot ha avuto conseguenze proprio sulla composizione interna dei trattenuti", ha spiegato a Fanpage.it il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione.

I Cie – originariamente Cpta, centri di permanenza temporanea e assistenza – sono nati nel 1998, con la legge Turco-Napolitano, poi modificata dalla Bossi-Fini e da altre successive. Il senso di questi luoghi è quello di "ospitare" gli stranieri senza permesso di soggiorno, quando per diverse ragioni, tra cui l'identificazione, non è possibile immediatamente l'espulsione: luoghi di detenzione per individui che hanno violato una disposizione amministrativa – com'è appunto il possesso del permesso di soggiorno.

Attualmente i centri funzionanti sono sei: Torino, Ponte Galeria, Caltanissetta, Bari, Crotone e Brindisi (questi ultimi riaperti a settembre 2015 dopo anni). "È previsto – ha spiegato Manconi – anche se non ci sono tempi definiti, che saranno utilizzati come Cie nei prossimi mesi anche quello di Milano e di Gradisca, entrambi in passato già tali e nel frattempo destinati a centri d'accoglienza". Inizialmente la durata del trattenimento era di 30 giorni, poi aumentata fino a 18 mesi nel 2011. Successivamente il termine è nuovamente calato nel 2014, arrivando a 90 giorni. A settembre 2015, in attuazione della direttiva Ue, è stato previsto in alcune circostanze il trattenimento fino a 12 mesi per il richiedente asilo che costituisca "un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica" o "sussista rischio di fuga". Rispetto a questo punto, la relazione della commissione rileva come il governo "non abbia tenuto in considerazione quanto deliberato dal Parlamento in merito alla necessità di ridurre i tempi di trattenimento fino a un massimo di 3 mesi". Nel 2015, i trattenuti che hanno fatto richiesta di protezione internazionale in un Cie sono stati 1.356 sul totale di 5.242 persone transitate in quelle strutture, circa il 25%.

Hotspot e Cie, un rapporto "perverso"

Tra i Cie e gli hotspot previsti dall'Agenda europea sulle migrazioni si è creato un rapporto che Manconi ha definito "stretto e perverso": "Oggi in Italia sono attivi tre hotspot. Uno a Lampedusa, uno a Trapani e uno a Pozzallo. Le persone che giungono in Italia, già al primo momento successivo allo sbarco, quindi in una situazione di smarrimento che non è difficile da immaginare, devono rispondere a delle domande e decidere se chiedere la procedura per l'asilo o definirsi in maniera differente". Si tratta del cosiddetto "foglio-notizie". Il punto è che, ha spiegato il senatore, "il livello di informazione e conoscenza è molto differenziato e in genere anche molto, molto basso. Una parte notevole di queste persone non formula la richiesta di riconoscimento come rifugiati e viene quindi definita migrante economico. Il che le porta a essere indirizzate verso i Cie. Parliamo di esseri umani che hanno compiuto una lunga traversata, che hanno conosciuto la morte e l'hanno evitata vedendo altri diventarne vittime". Stando alla relazione, nel corso del 2015 sono stati 397 i migranti trasferiti dall'hotspot di Lampedusa ai Cie italiani. Del totale dei profughi sbarcati sull'isola nel periodo di riferimento, 502 persone, solo il 10%, hanno manifestato la volontà di chiedere asilo.

"Le persone che arrivano nei Cie ricevono due tipi di provvedimenti: di espulsione o di respingimento differito. Entrambi hanno una ridotta efficacia, raramente diventano esecutivi e in tempi stretti. L'esito finale è che si crea una nuova fascia di irregolarità, di persone disperse nel territorio, spesso giunte in Italia da pochissimi giorni che non hanno alcuna consapevolezza di ciò che li aspetta, di quali potrebbero essere i loro diritti o le procedure più efficaci da eseguire", ha spiegato Manconi. Si crea cioè "una condizione di grande incertezza dove può crescere tutto: l'illegalità, la marginalità estrema, una condizione di disperazione e di abbandono totale". Tra quanti a Lampedusa non hanno manifestato la volontà di chiedere asilo e sono stati considerati migranti irregolari, 74 sono stati trasferiti nei Cie in tutta Italia, mentre 775 hanno ricevuto un provvedimento di respingimento differito, con l'ordine di lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni (più del 18% del totale). Questi ultimi – si legge nella relazione – secondo quanto denunciato da alcune associazioni, sono poi sbarcati a Porto Empedocle "dove hanno ricevuto il provvedimento del questore di Agrigento, senza aver ricevuto nessuna informazione" e "senza aver diritto a essere ospitati nel circuito d'accoglienza".

Nell'hotspot di Lampedusa la commissione ha rilevato "condizioni da un punto di vista igienico e strutturale appena dignitose con una serie di carenze evidenti (bagni poco puliti e non riscaldati, dormitori stipati di letti con poco spazio rimanente per muoversi)". Il centro è stato pensato per una primissima accoglienza e per una permanenza dei migranti di periodi di tempo molto brevi (48 ore), ma le nuove procedure dell'Agenda europea, di fatto, determinano in molti casi permanenze più lunghe. I tempi poi, talvolta, si dilatano ulteriormente: attualmente al centro di Lampedusa ci sono centinaia di persone che rifiutano di farsi identificare tramite il rilevamento delle impronte digitali perché non hanno intenzione di presentare domanda d'asilo in Italia. Il destino di queste centinaia di persone, scrive la commissione "è attualmente sospeso e non definito".

La Commissione europea ha chiesto lo scorso dicembre di usare se necessario anche la forza per il rilevamento delle impronte nei confronti di chi si rifiuta e arrivare al 100% delle identificazioni degli sbarcati. Per Manconi "l'Italia è stata considerata per anni una sorta di paese colabrodo, incapace o nolente di identificare gli sbarcati". L'identificazione, ha aggiunto il senatore, "risponde certamente a esigenze di sicurezza e va fatta, ma deve introdurre una fase successiva: una destinazione adeguata a coloro che vengono identificati. È qui che c'è un vuoto, già oggi e che temo possa allargarsi ancora di più". A fronte di un tasso di identificazioni che ha superato l'80%, "non corrispondono risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate". L'unico risultato tangibile, scrive la commissione, è "l'aumento di stranieri con in mano un decreto di respingimento differito del Questore che intima di lasciare il nostro paese entro 7 giorni, persone che di fatto rimangono poi nel territorio italiano irregolarmente".

La situazione nei Cie

Il decreto 25 luglio 1998 n. 286 prevede che nei Cie lo straniero sia trattenuto "con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità". "L'ultima volta che ho visitato un Cie è stato quello di Ponte Galeria a Roma il 31 dicembre 2015 – ha spiegato Manconi – Abbiamo incontrato una cinquantina di donne nigeriane in una condizione di desolazione assoluta. Si tratta di persone che nella gran parte dei casi non conoscono una parola di italiano, non hanno la minima idea di dove si trovino, perché, quanto siano destinate a rimanere, dove andranno una volta fuori. È difficile immaginare una situazione più desolata e desolante di questa. Persone magari giunte in Italia 48 ore prima, che del nostro paese conoscono Lampedusa, il porto, e poi Ponte Galeria. Private di tutto e in una condizione di infelicità assoluta: l'Italia tollera all'interno del proprio territorio, del proprio ordinamento giuridico e del proprio sistema istituzionale che vi siano luoghi così orribili".

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Secondo la relazione, all'interno del Cie ci sono per la maggior parte persone che provengono dal carcere, e si trovano in una situazione di "doppia detenzione": "Finito di scontare la pena, uomini e donne che hanno ricevuto provvedimenti di espulsione vengono portati nei centri per essere identificati ed espulsi. Ciò vuol dire che durante la detenzione non è stato possibile procedere all'identificazione. All'interno del centro, poi, il meccanismo molto spesso si inceppa". Molte volte, tra l'altro, si tratta di persone che da molti anni vivono insieme alle loro famiglie in Italia, e non hanno più alcun legame con i loro paesi di origine; stranieri nati e cresciuti in Italia ma non regolari perché non studiano o non hanno un contratto; o che hanno sempre permesso di soggiorno e non sono riusciti a rinnovarlo per più di 12 mesi o ha perso il lavoro; richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la propria domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di espulsione. Stando ai dati del ministro dell'Interno è proprio la dichiarata funzione dei Cie a mostrare la sua inefficienza: dal primo gennaio al 20 dicembre 2015 sono transitati complessivamente in queste strutture 5.242 persone di cui solo 2.746 sono state effettivamente rimpatriate, circa il 52% dei detenuti.

Ma perché, nonostante le denunce, questo sistema continua a persistere? "Perché l'Italia nonostante la retorica e lo stucchevole slogan che spesso si sente ripetere sul nostro come ‘il paese di Cesare Beccaria', in realtà rivela di non avere così tanto a cuore i diritti e le garanzie. E perché esiste un corto circuito patologico tra senso comune, classe politica e sistema dei media", ha spiegato Manconi. Per esempio la sindrome dell'invasione non ha alcun fondamento di realtà: "Il dato più censurato – ha aggiunto – tra tutti quelli in materia di immigrazione è che in Italia vengono sempre meno immigrati, e dall'Italia vanno via sempre più immigrati. Rispetto a questo dato di realtà viviamo in una situazione di presunta invasione, e dunque opponiamo resistenze, alziamo barriere, costruiamo recinti e mettiamo il filo spinato laddove dovremmo invece elaborare strategie razionali e intelligenti per l'accoglienza".

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