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Lo Porto, il corpo non c’è: il cooperante non è stato identificato dall’esame del Dna

Le forze Usa non hanno mai visto il corpo del cooperante italiano, la certezza della morte solo tramite un incrocio di dati raccolti dai servizi segreti.
A cura di Antonio Palma
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Il corpo di Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano rimasto ucciso in un'azione militare Usa al confine tra Afghanistan e Pakistan mentre era tenuto prigioniero, non è nelle mani delle forze statunitensi che non lo hanno mai visto. Per questo il riconoscimento non è avvenuto tramite l'esame del dna ma solo attraverso un "incrocio di dati e circostanze durato oltre tre mesi proprio perché basato su numerose fonti". È quanto emerge dalla relazione che il sottosegretario ai servizi di informazione e sicurezza, Marco Minniti, ha fornito al Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza su servizi segreti italiani. Nel corso dell'audizione a palazzo San Macuto, il rappresentante del governo avrebbe rivelato che di fatto non c'è stata ancora l'identificazione diretta del cooperante italiano perché nessun agente occidentale ha potuto vedere il corpo. Una notizia sconfortante per i familiari, che a più riprese hanno manifestato la grande sofferenza per il fatto di non poter neanche dare un sepoltura al loro caro.

Durante la relazione Minniti ha rivelato anche altre circostanze dell'accaduto che potrebbero gettare nuove ombre sull'operato degli Usa in zona. Secondo indiscrezioni, infatti, pare che vi fosse una trattativa già avviata tra l'Italia e rapitori di Lo Porto che aveva portato anche alla consegna di tre video del prigioniero, ma questa è stata interrotta dopo l'avvio di operazioni militari in zona da parte degli Usa. Secondo quanto racconta il Corriere della Sera, il negoziato prevedeva una richiesta di soldi e lo scambio con alcuni prigionieri, ma il tutto si sarebbe interrotto agli inizi del 2015 quando il mediatore è stato arrestato dagli afghani. Nel mirino quindi la mancanza di comunicazioni da parte degli Usa che sapevano dei movimenti degli agenti segreti italiani, in particolare le reticenze di Washington anche dopo che gli 007 italiani avevano avuto delle informazioni sulla sorte di Lo porto a marzo. "Gli Stati Uniti devono spiegarci ancora molte cose" ha commentato il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi.

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