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L’Italia invecchia: per la prima volta dal 1861 ci sono più anziani che giovani

L’Italia sta invecchiando, ma non compensa con le nascite. È per questo che per la prima volta in quasi 160 anni gli ultra sessantenni, numericamente, superano i giovani che ancora non hanno compiuto trent’anni. A spiegarlo è uno studio realizzato dall’Istituto di studi e ricerca Carlo Cattaneo grazie ai dati raccolti dall’Istat.
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A cura di Chiara Caraboni
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Come recita il titolo di un film di Giovanni Veronesi, l'Italia "non è un paese per giovani". E infatti è uno dei più vecchi paesi al mondo. Secondo lo studio condotto dall'Istituto di studi e ricerca Carlo Cattaneo analizzando i dati Istat, per ogni giovane italiano sotto i 35 anni, ci sono circa 17 anziani over 65. Quello che sconvolge è che questi numeri si presentano per la prima volta dal 1861: non era mai capitato che ci fossero più ultra sessantenni che ragazzi sotto i trenta. Il distacco, che non è di molto viste le percentuali, dà però un segnale d’allarme: coloro che hanno superato i sessant’anni, infatti, sono il 28,7% della popolazione mentre i giovani che ancora non hanno compiuto i trenta sono, al primo di gennaio 2018, il 28,4%.

Il calo delle nascite in Italia è iniziato intorno agli anni Settanta, ma dal 1991 a oggi ha segnato una diminuzione pari all’11,2% e contestualmente ha visto alzarsi il numero degli anziani del 7,6%. La longevità che aumenta, però, non può essere considerata in senso negativo e non le si può nemmeno affibbiare la causa dello squilibrio demografico. Come spiega Alessandro Rosina infatti, ordinario di Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, “anche la Germania ha denatalità, ma lì i governi hanno compensato le diminuzioni quantitative con un forte potenziamento qualitativo”, investendo quindi nella formazione, nella ricerca e nello sviluppo. Cosa che invece, come sottolinea la Fondazione, non avviene in Italia. Tra le novità che emergono da questo studio, infatti, sicuramente c’è il fatto che la fascia di età compresa tra zero e quattordici anni oggi è solamente il 13,3% del totale, più o meno come il blocco degli anziani che hanno superato i 75 anni. Questo, secondo lo studio, spiegherebbe anche il perché di alcune scelte politiche: “Ecco perché la politica (e la Legge di bilancio) si occupa più degli anziani che dei giovani. Una delle questioni da sottolineare è che una quota di giovani intorno al 15-16% non vota. Quindi i governi, in maniera fisiologica e scarsamente lungimirante, non costruiscono politiche per loro. Da troppo tempo manca un manifesto programmatico di lungo periodo dedicato a questa generazione”.

Anche Francesco Sinopoli, segretario della Federazione lavoratori della conoscenza, commentando i dati analizzati dall'Istituto, ha spiegato che “La desertificazione giovanile è la più grande emergenza dei nostri giorni”. Secondo il rappresentante infatti, mancano i giovani e “per invertire questa disgrazia sociale serve favorire migrazioni di insediamento e un’occupazione femminile con ritmi e tempi che consentano la maternità. Poi c’è la scuola. Non si possono togliere insegnanti parallelamente alla riduzione degli studenti. Bisogna investire nel tempo pieno, combattere gli abbandoni”.

E invece, secondo l'opinione di Rosina, “l’Italia considera i giovani un costo a carico delle famiglie, non un investimento della collettività” e quindi le politiche tutelano inizialmente i genitori anziché i figli. È proprio per questo che, spiega lo studio, i giovani fino ai trent’anni decidono di posticipare, di rinviare le scelte sulla famiglia perché si sentono “abbandonati a se stessi” riguardo all’istruzione e alla cultura della famiglia. È vero inoltre che la povertà di una famiglia con almeno un figlio sotto i trentacinque anni è aumentata, mentre è in diminuzione quella con un over65 a carico. Considerato questo, secondo l'istituto, la redistribuzione delle risorse ai più giovani tramite il taglio alle pensioni più generose può essere una soluzione.

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