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Le tolgono utero e ovaie: ma non era un tumore, solo un’infiammazione, 45mila euro di risarcimento

Una grave somma di errori che ha portato ad un caso di malasanità ai danni di una paziente della provincia di Livorno: diagnosi errata al Santa Chiara, non verificata all’ospedale di Pontedera. Dopo l’asportazione infatti, i tessuti degli organi erano risultati benigni e affetti solo da patologia infiammatoria cronica.
A cura di Biagio Chiariello
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45mila euro di risarcimento per una rimozione degli organi inutile. Si è chiusa nei giorni scorsi la vicenda di una 70enne di Collesalvetti, in provincia di Livorno, alla quale nel 2015 furono asportati utero e ovaie per errore. Era stato ipotizzato che avesse un tumore, in realtà era una infiammazione. La notizia è riportata sul quotidiano il Tirreno. Secondo quanto accertato, la diagnosi errata fu formulata al Santa Chiara di Pisa, ma la paziente non fu operata per problemi di anestesia. La 70enne così si affidò all’ospedale pontederese Lotti dove, il ginecologo, prese per buone le analisi e conclusioni del collega dal Santa Chiara, non approfondendo un’altra rivalutazione sulle condizioni della donna.

Dopo l’asportazione l’esito dell'esame citologico “degli organi e tessuti asportati rilevavano reperti di natura benigna, riferibili a patologia infiammatoria cronica e non a eteroplasia” si legge nella sentenza. Stando alla relazione peritale “è assolutamente certo l'errore commesso” dal medico dell’ospedale Santa Chiara, “che formulò una diagnosi di carcinoma in assenza di elementi certi, e di fronte, anzi, a un referto bioptico esplicitamente dubbio, fondato su materiale scarsamente diagnostico e da correlare con ulteriori elementi clinici, tanto che lo stesso consulente definisce la conclusione inspiegabile. Ma è assolutamente certo, e anzi conclamato, l'errore commesso” anche dal collega, “che non soltanto non disponeva di elementi ulteriori rispetto a quelli noti ai sanitari pisani e in base ai quali era stata formulata la diagnosi oggi inspiegabile di carcinoma, ma anzi, come sostanzialmente ammette, accettò la diagnosi” del primo medico “senza procedere a un'autonoma rivalutazione del materiale raccolto, con ciò accettando pienamente il rischio dell'altrui errore”.

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