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Caso Ilva Taranto

L’Ilva ha “potenzialità distruttive”. Ma il Ministero sapeva delle “irregolarità”

Il tribunale del riesame conferma il sequestro degli impianti a caldo senza concederne l’uso. Nelle motivazioni dei giudici si legge che le modalità di gestione dell’acciaieria sono state tali da produrre un “disastro doloso”. Ma, da quanto si apprende da un rapporto del Noe, l’ex ministro dell’Ambiente (Prestigiacomo) sapeva delle fughe di diossina e ossido di ferro già dallo scorso anno.
A cura di Biagio Chiariello
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Caso Ilva Taranto

Il tribunale del Riesame conferma il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva senza concedere la facoltà d'uso (ipotesi, in realtà, neanche richiesta dai legali del Siderurgico). Le motivazioni che hanno portato a questa decisione sono da attribuire al fatto che le modalità di gestione dello stabilimento di Taranto sono state tali da produrre un disastro doloso: «azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell'ambiente (…), tale da provocare un effettivo pericolo per l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone». Lo scrivono il giudici che hanno firmato il provvedimento. Il documento non lascia spazio al dubbio. Si parla di «disastro» reiterato «nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti». Il Tribunale ritiene che «le emissioni nocive che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin dall'insediamento dell'attuale gruppo dirigente dello stabilimento Ilva di Taranto, avvenuto nel 1995, sono proseguite successivamente», nonostante una condanna definitive per reati ambientali. Inoltre, nonostante i «molteplici» impegni assunti dall'Ilva con le pubbliche amministrazioni per migliorare le prestazioni ambientali del siderurgico, i dirigenti dello stabilimento non hanno mai assolto agli obblighi.

Ma il Ministro dell'Ambiente Corrado Clini precisa che lo stop deciso dal Tribunale del Riesame è solo funzionale al risanamento dell'impianto. Il riesame conferma «l'approccio che anche noi abbiamo sempre suggerito: la fermata degli impianti è in funzione degli interventi di risanamento. Se ci sono degli interventi tecnologici che richiedono la fermata degli impianti, questi si devono fermare. Se invece ci sono interventi che non la richiedono non è necessario fermarli». Questa l'interpretazione della sentenza da parte del Ministro.

Il disastro ambientale generato dagli impianti dell'Ilva di Taranto era noto al Ministero dell'Ambiente già dal 2011. Almeno secondo quanto rivela un rapporto dei Noe, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Lecce del maggiore Nicola Candido, inviato all'allora ministro Stefania Prestigiacomo, messa al corrente sulla gestione degli impianti a caldo dell'acciaieria più grande d'Europa. In quelle pagine, un anno fa, era infatti contenuto l'impianto accusatorio che ha poi portato al sequestro per sei reparti dello stabilimento siderurgico e ai domiciliari per gli otto dirigenti indagati. In quel rapporto, dunque, venivano denunciati centinaia di «eventi irregolari» che solo un anno dopo hanno portato a muoversi la Procura di Taranto. In particolare, veniva sottolineato il continuo rilascio di sostanze tossiche tra cui diossina e ossido di ferro nell'aria, fughe di emissioni «diffuse e fuggitive»  dannosissime per l'ambiente. Eppure, quel documento, comprovato da immagini inequivocabili e video, non impedì al Ministero dell'Ambiente di concedere l'Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale.

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