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Sorpresa, molti bagliori rossi del 5 novembre non erano l’aurora boreale: cos’è successo nel cielo

La maggior parte delle luci rosse apparse nel cielo il 5 novembre non era legata a un’aurora boreale. Secondo alcuni studiosi si trattava di un fenomeno completamente diverso chiamato SAR. La spiegazione.
A cura di Andrea Centini
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SAR in alto a sinistra, aurora boreale in basso. Credit: Sarah Marie / screenshot X
SAR in alto a sinistra, aurora boreale in basso. Credit: Sarah Marie / screenshot X

La sera del 5 novembre 2023 i cieli d'Italia e di molti altri Paesi sono stati impreziositi da spettacolari e suggestivi bagliori rossi, definiti da esperti e media come aurore boreali. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, questi archi di luce rossa sarebbero stati originati da un fenomeno completamente differente, descritto per la prima volta solo negli anni '50 del secolo scorso: il SAR. Sono giunti a questa conclusione alcuni studiosi dopo aver effettuato un'attenta analisi delle immagini raccolte dalle telecamere in molti Paesi, compreso il nostro. A spiegare cos'è realmente accaduto domenica 5 novembre è stato il professor Jeff Baumgardner del Centro per la Fisica Spaziale dell'Università di Boston (Stati Uniti), che ha lasciato una dichiarazione all'autorevole portale specializzato in meteo spaziale spaceweather.com.

Gli archi di luce rossa comparsi nel cielo sono stati legati a una forte tempesta geomagnetica di Classe G3 innescata da due violente espulsioni di massa coronale (CME) avvenute sul Sole nei giorni precedenti. La stella ha proiettato verso la Terra un flusso di vento solare altamente energetico carico elettricamente (il plasma), che ha interagito con il campo magnetico del pianeta e i gas presenti nell'alta atmosfera, in particolar modo ossigeno e azoto nella ionosfera. Le aurore boreali, cioè aurore polari che si verificano nell'emisfero settentrionale, come evidenziato dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, sono fenomeni ottici legati proprio al contatto tra queste particelle energetiche e i gas, che rilasciano luce – cioè fotoni – di colore differente in base all'energia, alla composizione del gas, all'altitudine ed ad altri parametri. I sinuosi e pulsanti archi che le caratterizzano (chiamati archi aurorali) sono invece legati all'allineamento delle particelle con il campo magnetico della Terra.

L'aurora boreale del 5 novembre 2023, fotografata da Senigallia (Marche). Credit: Katiuscia Pederneschi
L'aurora boreale del 5 novembre 2023, fotografata da Senigallia (Marche). Credit: Katiuscia Pederneschi

Il colore rosso, che ha caratterizzato l'evento del 5 novembre 2023, nelle aurore boreali è dovuto all'interazione delle particelle con gli atomi di ossigeno a quote molto elevate, da circa 400 chilometri in su. Dall'Italia è possibile ammirare soprattutto eccezionali aurore rosse proprio perché si verificano molto in alto nell'atmosfera; ciò le rende visibili a latitudini più basse del solito (le aurore boreali sono fenomeni tipici dei Paesi nordici). Tuttavia, come indicato, il rosso che abbiamo visto l'altra sera nel cielo, nella maggior parte dei casi non sarebbe stato legato all'aurora, bensì al sopracitato fenomeno chiamato SAR. Ecco di cosa si tratta.

Il SAR, acronimo di “Archi rossi aurorali stabili”, come spiegato da spaceweather.com è stato descritto per la prima volta nel 1956 e a dispetto del nome non ha nulla a che vedere con le aurore. Se infatti le prime si manifestano per l'interazione delle particelle spiegata poc'anzi, i SAR sono invece “un segno di energia termica che si disperde nell’atmosfera superiore dal sistema di correnti ad anello della Terra, un circuito a forma di ciambella che trasporta milioni di ampere attorno al nostro pianeta”. Questi archi di luce che compaiono durante forti tempeste geomagnetiche – come quella di Classe G3 del 5 novembre 2023 – si illuminano di rosso a 6300 Å, sempre a causa dell'ossigeno atomico presente nell'alta atmosfera.

Come spiegato da spaceweather in un articolo del 2021, il nostro occhio non è molto sensibile a questa lunghezza d'onda e in genere quando si formano i SAR sono così deboli che difficilmente riusciamo a coglierli a occhio nudo, tuttavia le fotocamere riescono a catturarli con grande facilità. “Il 5 novembre, la corrente dell'anello è stata alimentata per ore dalla tempesta geomagnetica, con l'energia che si è dissipata in questi archi SAR”, ha spiegato il professor Baumgardner. “È stato un evento globale. Le nostre telecamere hanno registrato l'attività SAR dall'Italia alla Nuova Zelanda”, ha chiosato l'esperto, facendo un riferimento specifico proprio al nostro Paese.

Gli archi SAR, come altri fenomeni ottici legati alle tempeste geomagnetiche, si manifestano soprattutto in prossimità del picco massimo del ciclo undecennale dell'attività magnetica del Sole, che secondo recenti studi verrà raggiunto entro la fine del 2024 e non a luglio del 2025 come precedentemente stimato. Non c'è dunque da stupirsi che possano comparire nel cielo proprio in questo periodo.

“Al culmine di un ciclo solare in genere vediamo 30 SAR all’anno vicino a Boston”, aveva affermato Baumgardner nel 2021, che ha descritto questi archi nell'articolo “SAR arcs we have seen: Evidence for variability in stable auroral red arcs” pubblicato su JGR Space Physics. A “complicare” ulteriormente gli eventi del 5 novembre anche la comparsa di un altro misterioso fenomeno ottico chiamato STEVE, caratterizzato da un suggestivo nastro di luce viola.

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