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Perché gli antinfiammatori come l’ibuprofene possono aumentare il rischio di dolore cronico

I farmaci antinfiammatori, paradossalmente, pur risultando efficaci contro il dolore acuto possono scatenare il dolore cronico. Ecco in che modo.
A cura di Andrea Centini
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Può sembrare assurdo, ma i farmaci antinfiammatori che utilizziamo comunemente per combattere il dolore possono aumentare il rischio di dolore cronico. In altri termini, l'ibuprofene e altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che risultano analgesici a breve termine, possono avere un effetto negativo sul dolore a lungo termine. La ragione risiede nel fatto che interferiscono con il processo infiammatorio che si innesca naturalmente quando si prova dolore per una qualche ragione (come una lesione); bloccarlo non farebbe altro che produrre dolore per più tempo e più difficile da trattare. Per questo gli scienziati suggeriscono di riconsiderare il modo in cui trattiamo il dolore, passando sì per farmaci analgesici ma non antinfiammatori.

A scoprire che i farmaci antinfiammatori possono aumentare il rischio di dolore cronico è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati canadesi del Centro Alan Edwards per la ricerca sul dolore dell'Università McGill di Montreal, che hanno collaborato con i colleghi del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell'Università di Parma, del Dipartimento di Anestesiologia, Dolore e Medicina Palliativa dell'Università Radboud di Nimega (Paesi Bassi), dell'Università della Carolina del Nord, del Policlinico di Monza e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Luda Diatchenko, docente presso la Facoltà di Odontoiatria e Scienze della salute orale dell'ateneo canadese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato a fondo i meccanismi del dolore sia su pazienti che su modelli murini (topi).

Innanzitutto il professor Diatchenko e i colleghi si sono concentrati sui granulociti neutrofili, un tipo di globuli bianchi specializzato nel proteggere l'organismo dalle infezioni ma che gioca un ruolo fondamentale anche nel dolore. Analizzando l'attività genica in persone che utilizzavano antinfiammatori per combattere la lombalgia, gli studiosi hanno scoperto che in quelle guarite dal dolore i geni legati ai neutrofili erano sovraregolati, mentre non lo erano in quelle che presentavano dolore persistente alla fine del trattamento (di tre mesi). La stessa situazione è stata rilevata in persone con disturbo temporo-mandibolare, che provoca dolore ai muscoli associati alla mandibola e alle orecchie. “I neutrofili dominano le prime fasi dell'infiammazione e preparano le basi per la riparazione del danno tissutale. L'infiammazione si verifica per una ragione e sembra pericoloso interferire con essa”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Jeffrey S. Mogil, coautore dello studio.

Nella fase successiva della ricerca gli scienziati hanno coinvolto i topi, sottoponendoli a vari esperimenti. In quelli in cui sono stati bloccati i neutrofili, ad esempio, il dolore cronico è stato prolungato fino a dieci volte, mentre in quelli trattati con antinfiammatori il dolore è durato più del doppio rispetto a quelli non trattati. D'altro canto, l'iniezione periferica dei neutrofili e delle proteine S100A8/A9 che vengono normalmente prodotte dai neutrofili, hanno invece evitato il prolungamento del dolore dovuto all'uso di un farmaco antiinfiammatorio. Dall'analisi dei dati di oltre 500mila pazienti della UK Biobank, inoltre, gli scienziati hanno osservato che le persone che trattavano il dolore acuto con antinfiammatori avevano maggiori probabilità di soffrire di dolore cronico da 2 a 10 anni rispetto a chi usava altri analgesici. Riassumendo, da tutti questi risultati si evince che interferire con il naturale processo infiammatorio innescato dai neutrofili attraverso l'uso di farmaci antinfiammatori (come i FANS) può sì avere un effetto positivo a breve termine sul dolore, ma si rischia l'innesco di quello cronico.

“I nostri risultati suggeriscono che potrebbe essere il momento di riconsiderare il modo in cui trattiamo il dolore acuto. Fortunatamente il dolore può essere fermato in altri modi che non implicano l'interferenza con l'infiammazione”, ha affermato il professor Massimo Allegri del Policlinico di Monza. “Questi risultati dovrebbero essere seguiti da studi clinici che confrontano direttamente i farmaci antinfiammatori con altri antidolorifici che alleviano i dolori ma non interrompono l'infiammazione”, gli ha fatto eco il professor Diatchenko. I dettagli della ricerca “Acute inflammatory response via neutrophil activation protects against the development of chronic pain” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Translational Medicine.

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