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La luce solare avrebbe distrutto fino al 17% del petrolio rilasciato dal disastro Deepwater Horizon

Un nuovo studio ha stimato che fino al 17% del petrolio superficiale liberato dal disastro della Deepwater Horizon sarebbe stato distrutto dalla luce solare.
A cura di Andrea Centini
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Nell'aprile del 2010 un'esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon determinò il più grave disastro nella storia degli incidenti petroliferi, con una stima di circa 5 milioni di barili di petrolio rilasciati nel Golfo del Messico. Fu una catastrofe ambientale senza precedenti, che richiese uno sforzo enorme per contenere gli ingentissimi danni provocati dalla fuoriuscita. Una parte del petrolio rimase sul fondale marino devastandolo, un'altra si spinse in superficie, creando una chiazza immensa che giunse fin sulla costa, facendo strage di pesci, uccelli, tartarughe, mammiferi marini e invertebrati durante il mortale percorso. Le operazioni di pulizia furono frenetiche e imponenti, ma dai calcoli degli scienziati qualcosa non tornava: una parte del petrolio era "scomparsa". Ora, a 12 anni da quel tragico incidente, un nuovo studio ha stimato che fino al 17 percento del petrolio arrivato in superficie sarebbe stato distrutto dall'azione della luce solare.

A determinare che una parte significativa del disastro della Deepwater Horizon sarebbe stato contenuto dalla luce solare sono stati i due scienziati Danielle Haas Freeman e Collin P. Ward, entrambi del Dipartimento di Chimica Marina e Geochimica presso la Woods Hole Oceanographic Institution (Stati Uniti). I due ricercatori hanno spiegato che le reazioni di ossigenazione innescate dalla luce solare sono in grado di trasformare i componenti insolubili del petrolio greggio disperso in mare in composti idrosolubili, attraverso un processo chiamato “foto-dissoluzione”. Tale reazione è conosciuta dagli scienziati da oltre mezzo secolo, tuttavia la foto-dissoluzione non è mai stata inserita nei modelli di fuoriuscita del petrolio dopo gli incidenti, “perché i parametri chiave richiesti per la modellazione erano sconosciuti, tra i quali la lunghezza d'onda e la dipendenza dalla dose di fotoni”, hanno scritto Haas Freeman e Ward nell'abstract dello studio. I due scienziati hanno così deciso di quantificare sperimentalmente i vari parametri, ottenendo valori che hanno permesso loro di determinare l'impatto della foto-dissoluzione nella catastrofe della Deepwater Horizon.

Secondo i calcoli dei ricercatori, legati a fattori come latitudine, spessore della chiazza di petrolio e stagione, dal 3 al 17 percento del petrolio liberato in superficie dall'incidente sarebbe stato distrutto dalla foto-dissoluzione (stima migliore 8 percento). Ciò avrebbe ridotto sensibilmente il lavoro di bonifica e pulizia. Ma il fatto che la luce solare possa fare una parte del “lavoro sporco” dopo un disastro petrolifero, non significa affatto che il danno ambientale venga contenuto. Come specificato dai due scienziati in una mail inviata a IFLScience, non è nota la tossicità dei composti idrosolubili derivati dal processo di foto-dissoluzione, il cui impatto sugli ecosistemi marini potrebbe essere devastante come la chiazza di petrolio. Conoscere l'impatto di questo fenomeno, tuttavia, potrà aiutare ad allocare meglio le risorse (dove sono poche) e stimare più adeguatamente le conseguenze dei disastri. I dettagli della ricerca “Sunlight-driven dissolution is a major fate of oil at sea” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica ScienceAdvances.

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