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Influenza aviaria, uomo infettato da mucche da latte: com’è possibile e quali sono i rischi

Negli Stati Uniti è stato registrato il secondo caso in assoluto di infezione da virus dell’influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI). Si tratta di un uomo risultato positivo dopo l’esposizione a mucche da latte “presumibilmente infette”. Cosa sta succedendo e quali sono i rischi.
A cura di Andrea Centini
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In Texas, negli Stati Uniti, un uomo è risultato positivo al virus dell'influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI). Sarebbe stato infettato da mucche di un allevamento “presumibilmente” contagiate dal virus, come indicato in un comunicato stampa dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli USA. Solo pochi giorni fa il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) aveva confermato i primi casi di infezione di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) in alcuni allevamenti di bovini da latte, proprio in Texas e nel Kansas.

Il virus H5N1 coinvolto nel caso umano, il secondo in assoluto rilevato negli USA, è lo stesso responsabile di una catastrofica epidemia negli uccelli, scoppiata alla fine del 2021 e tuttora in corso. Da allora ha portato alla morte decine di milioni di volatili selvatici e di interesse commerciale in quasi tutto il mondo, tra quelli abbattuti per scopi preventivi e quelli rimasti uccisi dalla letale infezione. Tra le popolazioni più colpite figurano quelle del Regno Unito, dove numerose colonie di uccelli marini sono state letteralmente sterminate.

Il virus è stato già rilevato in numerosi mammiferi, compresi mustelidi (donnole, visoni, martore etc etc), foche, leoni marini, volpi, orsi, gatti, capre e persino orsi polari; il primo caso nei grandi plantigradi è stato registrato recentemente in Alaska. Saltuariamente il virus ha contagiato anche l'essere umano e ha provocato alcune vittime nel Sud Est asiatico, ma al momento non è considerato un pericolo incombente, poiché non ha la capacità di infettare efficacemente le cellule umane. “Alcuni mesi fa è uscito un lavoro che dimostrava che questi virus aviari fanno veramente fatica a infettare in maniera efficace le cellule umane. Quindi questo spiegherebbe il motivo per cui questo virus, che è in giro da venti anni, non abbia scatenato una pandemia”, aveva affermato a Fanpage.it la virologa Ilaria Capua. L'esperta aveva sottolineato che solitamente i virus che infettano gli uccelli faticano a contagiare i mammiferi, anche per una questione di temperatura diversa (più elevata di 3 – 4 °C nei volatili rispetto all'uomo).

I CDC sottolineano che l'uomo infettato nel Texas si sta riprendendo bene e ha avuto un unico, lieve sintomo, ovvero l'arrossamento degli occhi (congiuntivite). Gli è stato chiesto di restare in isolamento e ha ricevuto la prescrizione di un farmaco antivirale per l'influenza. In alcuni casi l'infezione determina sintomi influenzali e può sfociare in complicazioni potenzialmente fatali come una polmonite. Secondo l'ente americano questo secondo contagio negli USA, dopo quello registrato nel 2022 in Colorado, “non modifica la valutazione del rischio per la salute umana dell'influenza aviaria H5N1 per il grande pubblico statunitense”, che viene considerata bassa.

È chiaro però che le persone esposte per motivi professionali al contatto con animali morti o infetti da questo agente patogeno hanno un rischio superiore di poter contrarre l'infezione. Per il recente caso del Texas è noto che a ridosso dell'allevamento di bovini venivano trovati spesso uccelli selvatici morti. È dunque possibile che il virus sia passato dagli uccelli morti o malati al bestiame – attraverso escrementi o contaminazione ambientale – e che quest'ultimo lo abbia trasferito all'uomo. Nel caso del Colorado, l'individuo coinvolto – un detenuto di un carcere – fu infettato da pollame risultato positivo all'H5N1.

Il virus, come indicato, è stato riscontrato per la prima volta nelle mucche (e nel loro latte non pastorizzato) alla fine di marzo di quest'anno in allevamenti statunitensi. Sebbene ci sia preoccupazione per la potenziale trasmissione attraverso il consumo di latticini, i CDC sottolineano che la pastorizzazione uccide il virus, inoltre le industrie lattiero-casearie sono obbligate alla distruzione del latte proveniente da animali malati. Il rischio di contagio da questi prodotti e dal bestiame per la popolazione generale è dunque considerato basso. Ciò, tuttavia, non significa che il virus A (H5N1) ad alta patogenicità non venga monitorato con estrema attenzione dagli esperti. È infatti diffuso in tutto il mondo e responsabile di epidemie catastrofiche negli animali.

Il fatto che al momento non sia in grado di infettare efficacemente l'uomo non vuol dire che non possa riuscirvi in futuro, come aveva evidenziato dalla professoressa Capua a Fanpage.it. “I virus influenzali sappiamo che possono riassortirsi fra di essi. Hanno una specie di ‘riproduzione sessuale', quindi un virus aviario si può combinare con uno di maiale e dare vita a un virus che infetta l'uomo. Il riassunto è che il virus così com'è, ad oggi, non sembra essere in grado di innescare una pandemia, ma potrebbe farlo”.

Un dato significativo risiede nel fatto che gli scienziati dei CDC, al momento, non hanno rilevato cambiamenti nel virus in grado di renderlo resistente ai farmaci antivirali antinfluenzali già approvati. Pertanto dovremmo già avere armi efficaci a disposizione per combatterlo, in caso di spillover (salto di specie). Per quanto concerne i vaccini, sono in sperimentazione candidati “che possono fornire una protezione ragionevole contro i virus dell'influenza H5N1”.

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