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India: bimba di 8 anni stuprata e uccisa. Accusati anche agenti di polizia

A seguito dell’episodio sono state organizzate numerose manifestazioni di protesta.
A cura di D. F.
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Gli stupri sono, ahinoi, piuttosto frequenti in India. Quello di gruppo, cui è seguito l'omicidio, di Asifa Bano, una bimba di appena otto anni, avvenuto nello Stato di Jammu e Kashmir,  sta però provocando sgomento e forti proteste nelle strade ma anche attraverso i social network in tutto il paese, reazioni che raramente erano state così veementi in una nazione in cui gli abusi sulle minorenni e sulle donne in generale sono una dura realtà quotidiana.
Il rapimento tre mesi fa della piccola musulmana Asifa Bano a Khatua, e la sua uccisione da parte di un gruppo di uomini, ha attratto per mesi e mesi l'attenzione delle cronache per le evidenti implicazioni interreligiose, dal momento che gli assassini erano indù. Ora tuttavia il caso è esploso anche sul piano politico. A seguito del gravissimo delitto, infatti, alcuni membri di un gruppo radicale indù legato al partito di governo Bjp hanno manifestato non per chiedere che venga fatta giustizia, bensì per solidarizzare con gli otto sospettati, tra i quali 4 poliziotti, proclamandone l’innocenza. E Persino due deputati del partito di governo hanno pubblicamente preso le loro difese. Lunedì scorso gli avvocati degli imputati hanno persino cercato di impedire alla polizia di presentare il suo rapporto in tribunale.

Le mobilitazioni in favore dei sospetti violentatori e assassini hanno indignato il Paese. Sui social sono diventati virali gli hashtag #Kathua e #justiceforAsifa. "Ma è veramente questo il Paese che vogliamo far conoscere al mondo? — si domanda Sania Mirza — Se non possiamo difendere la memoria di una bambina di otto anni al di là delle differenze di genere, casta, religione allora non possiamo difendere più nulla, neanche l’umanità". Secondo gli inquirenti che indagano sull'omicidio della piccola il suo stupro e la sua barbara uccisione sono stati pianificati nei dettagli per spingere la comunità nomade musulmana dei Bakarwal, cui la bambina apparteneva, a lasciare la zona.

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