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Femminicidio di Mariarca Mennella, il giudice: “Uccisa dall’ex in modo vile”

Mariarca Mennella è stata accoltellata nel suo letto nella casa in cui viveva a Musile del Piave il 23 luglio 2017. L’ex marito, Antonio Ascione l’ha uccisa dopo aver letto dei messaggi WhatsApp tra Mariarca e il suo nuovo partner, i giudici: “Ammazzata in modo a dir poco vigliacco”.
A cura di Angela Marino
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"L'ha colpita in modo a dir poco vigliacco" usa toni duri il giudice del Tribunale di Venezia, Massimo Vicinanza nelle motivazioni della sentenza a carico di Antonio Ascione, condannato a vent'anni di carcere per aver ucciso la giovane moglie, Mariarca Mennella. Il pizzaiolo napoletano di 45 anni aggredì la moglie con cinque coltellate nell'abitazione dove viveva a Musile del Piave (Venezia), il 23 luglio 2017. Maria Archetta della Mariarca, di origini campane, si era si era trasferita in Veneto per trovare lavoro e per allontanarsi dall'ex marito, tuttavia proprio nella città veneta è stata stata raggiunta e poi assassinata dall'ex.

Accoltellata nel suo letto

Quando venne colpita, scrive il giudice Mariarca era "ancora a letto, all'interno della sua camera, nelle prime ore del mattino, intorno alle 7, pochi minuti dopo essersi svegliata". Secondo il giudice, che non ha riconosciuto l'aggravante della premeditazione contestata dall'accusa, che aveva chiesto il massimo della pena, Ascione non avrebbe agito "con animo freddo"ma trascinato da "una sorta di delirio", per avere letto dei messaggi WhatsApp tra Mariarca e il suo nuovo partner.

Il movente della gelosia

"Se l'azione delittuosa è stata caratterizzata dalla viltà" scrive ancora il magistrato "il comportamento successivo si connota per riprovevolezza non solo morale, perché incide anche sul danno che già era stato provocato ai figli". Dopo il delitto, infatti, Ascione ha inviato una lettera alla figlia con il pin del telefono della madre perché la 15enne potesse controllare la nuova relazione della madre.

La delusione della famiglia

Ascione, assistito dall’avvocato Giorgio Pietramala, era accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione, futili motivi, vincolo di parentela e minorata difesa, oltre che di minacce. Sul verdetto che lo ha condannato a vent'anni di reclusione ha pesato il mancato riconoscimento delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi. Il nostro sistema giuridico – hanno commentato i familiari della vittima – tutela in modo sproporzionato i colpevoli e troppo poco le vittime e i loro familiari. È un sistema che spinge a farsi giustizia da soli".

No all'abbreviato per delitti efferati

"Parlerò con il pm – annuncia l'avvocato della famiglia Mennella, Alberto Berardi – per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza, che sicuramente sarà impugnata in sede civile". La sentenza avrebbe potuto essere molto più severa se la legge sull'inapplicabilità dell'abbreviato ai delitti puniti con l'ergastolo, approvata lo scorso novembre, fosse passata prima.

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