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Kosovo, portavoce della missione NATO a Fanpage: “Tensioni costanti, dialogo unica via per il futuro”

L’intervista di Fanpage.it al colonnello Andrea Gallieni, portavoce della Missione NATO in Kosovo: “La tensione tra le due parti è costante e il rischio di escalation sempre dietro l’angolo. Finché il dialogo non produrrà un punto di equilibrio ci sarà sempre un contrasto di interessi”.
Intervista a Colonnello Andrea Gallieni
portavoce della Missione NATO in Kosovo.
A cura di Ida Artiaco
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"La tensione tra le due parti è costante, per questo anche un episodio circoscritto come quello verificatosi il 29 maggio può essere motivo di escalation e di atti di violenza di più ampia portata. Serve il dialogo, unica vera prospettiva per il futuro. Inoltre, anche i Balcani sono influenzati dalla guerra in Ucraina".

A parlare a Fanpage.it è il portavoce della Missione NATO in Kosovo, il Colonnello Andrea Gallieni, che ha spiegato cosa è successo nei giorni scorsi nel Paese balcanico, quando ci sono stati scontri tra dimostranti serbi, polizia kosovara e militari della Kfor, quali sono i legami con la guerra della Russia in Ucraina e che rischi reali ci sono di una ulteriore escalation.

Colonnello, prima di tutto, può spiegarci cosa ci fanno i militari NATO in Kosovo? 

"I militari della NATO sono in Kosovo in base ad una risoluzione delle Nazioni Unite, la 1244 del 1999, e sono qui per garantire la sicurezza e la libertà di movimento a tutte le comunità che vivono nel Paese. Questa risoluzione è stata firmata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a seguito degli scontri che si verificarono proprio nel '99 tra la NATO e l'esercito serbo e da quel giorno la presenza militare internazionale ha garantito sicurezza e stabilità al Kosovo e continua a farlo tutt'ora con un contingente internazionale di 27 nazioni, di cui 21 sono membri NATO e 6 sono partner dell'Alleanza".

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Quale è il ruolo degli italiani?

"L'Italia contribuisce come nazione della NATO alla formazione del contingente internazionale. In questo momento il nostro Paese è il maggior contributore della missione Kfor, in quanto ha il comandante, il generale di divisione Angelo Michele Ristuccia, e più di 700 uomini sui 3800 circa di tutto il contingente. C'è anche da dire che l'Italia ha sempre partecipato dal 1999 alla Missione e ai massimi livelli. Attualmente, i militari italiani sono dispiegati principalmente presso il quartier generale Kfor a Pristina e nella base "Villaggio Italia" nei pressi della città di Pec/Peja".

Nei giorni scorsi c'è stata questa nuova esplosione di violenza tra dimostranti serbi, polizia kosovara e militari della Kfor. Proprio il generale Ristuccia ha rilasciato questa dichiarazione: "Entrambe le parti devono assumersi la responsabilità di ciò che è accaduto e prevenire qualsiasi ulteriori escalation invece che nascondersi dietro false narrazioni". Cosa intendeva?

"C'è da dire che uno dei fondamenti dell'operato della missione Kfor è l'imparzialità, non supportando nessuna delle due parti ma garantendo che la sicurezza sia assicurata alla popolazione kosovara. In una situazione di scontro è facile che si sviluppino narrative di parte, dove ciascuno cerca di additare le colpe all'altra e anche di imporre la propria posizione. Il generale Ristuccia nella sua dichiarazione intendeva proprio stimolare entrambe le parti a tornare al dialogo, che è l'unica possibilità per risolvere la conflittualità in atto e poter progredire nello sviluppo del Kosovo. Astenersi dalle narrative è una delle strade per arrivare a trovare un accordo sulla base del quale incentrare poi una convivenza tra le due parti".

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Sui social network abbiamo visto immagini di supporter della Russia manifestare con i dimostranti serbi. Anche il Cremlino ha dichiarato di sostenere incondizionatamente la Serbia. Come si inserisce la tensione che c'è in Kosovo all'interno di una dimensione più ampia che riguarda la dialettica della Russia e della NATO?

"Il conflitto in Ucraina sta influenzando indiscriminatamente tutta l'Europa e l'ambiente internazionale. E il Kosovo non può ritenersi estraneo agli effetti che si generano in tutti gli ambiti. In questo non è da escludere neanche che il supporto si possa esprimere con una partecipazione di simpatizzanti che tendono ad esprimersi in queste situazioni all'interno di uno scontro di piazza. Che la Russia tenda ad influenzare la situazione internazionale non è un segreto e neanche l'area dei Balcani può ritenersi immune".

Dopo giorni di tensioni, come è ora la situazione lì?

"La tensione tra le due parti tende ad essere costante, a volte arriva logicamente una escalation che può portare anche a manifestazioni di violenza come quelle degli ultimi giorni. La tensione in Kosovo si può sviluppare anche per motivi che apparentemente non dovrebbero avere una portata così ampia. In questi ultimi giorni, dopo gli eventi del 29 maggio, non si sono più ripetuti episodi di violenza così diffusa ma è perenne la protesta dei kosovari di etnia serba verso l'insediamento dei sindaci albanesi nelle municipalità del nord, che è stato poi l'evento che ha generato le manifestazioni".

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Quali scenari potremmo trovarci davanti?

"L'esigenza, come prospettato sia dalla NATO che dall'Ue, che in questo momento è alla guida del dialogo tra Pristina e Belgrado, è avere un punto di accordo. Il dialogo è l'unica soluzione al momento per vedere nel futuro una prospettiva. Nel frattempo, finché non si troverà un punto di accordo la crisi o meglio le tensioni ci saranno sempre. Prevedere l'escalation è difficile, anche perché la tensione permanente può sfociare, anche a causa di eventi circoscritti, in violenza di portata molto più ampia. In quest'ottica tutto può succedere da un momento all'altro. Finché il dialogo non produrrà un punto di equilibrio ci sarà un contrasto di interessi".

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