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Quali sono le possibili soluzioni al conflitto tra Hamas e Israele

L’intervista di Fanpage.it a Raffaele Marchetti, Prorettore all’Internazionalizzazione e docente di Relazioni Internazionali presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, sulle possibili soluzioni a breve e lungo termine del conflitto tra Hamas e Israele: “Ci sono varie alternative, tutte molto difficili da applicare e che richiederanno tempo. La Russia potrebbe essere un mediatore di rilievo, come il Qatar”.
Intervista a Raffaele Marchetti
Prorettore all'Internazionalizzazione e docente di Relazioni Internazionali presso il dipartimento di Scienze Politiche dell'Università Luiss Guido Carli di Roma.
A cura di Ida Artiaco
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"Rispetto al conflitto israelo-palestinese dopo l'attacco di Hamas, dobbiamo distinguere tra una soluzione micro, cioè capire come se ne esce da questa specifica situazione di tensione a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni, e una macro, cioè come se ne esce complessivamente. Tutto è molto complesso. Potrebbero anche intervenire soggetti terzi a incentivare un dialogo tra le parti, ma non saranno mai gli Stati Uniti".

A parlare a Fanpage.it è Raffaele Marchetti, Prorettore all'Internazionalizzazione e docente di Relazioni Internazionali presso il dipartimento di Scienze Politiche dell'Università Luiss Guido Carli di Roma, il quale ha fatto il punto della situazione della guerra scoppiata in Medio Oriente, dopo l'attacco di Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre, ragionando su possibili soluzioni e scenari per superare questa fase di forte tensione che rischia di infiammare tutta la Regione.

Professor Marchetti, partiamo dalla soluzione macro. Cosa può dirci al riguardo?

"Da questo punto di vista ci sono fondamentalmente due alternative. C'è quella dei due popoli due Stati, che è sul tappeto da tantissimo tempo ma è anche molto complicata, perché c'è una interpretazione molto diversa tra le parti su cosa dovrebbero essere questi due Stati.

La parte palestinese vorrebbe tornare ai confini del 1967, cosa che per gli israeliani non è possibile perché quegli stessi confini sono stati trasformati dagli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Quindi, questa è una soluzione che, se fosse accettata la linea palestinese, dovrebbe portare allo smantellamento di questi insediamenti. Stiamo parlando di decine di migliaia di persone e di una manovra a U per tornare indietro rispetto a una politica che è stata tutto sommato sostenuta da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimo 40 anni.

Allo stesso tempo, è pure complicato pensare alla soluzione dei due Stati che però prenda in considerazione la realtà dei fatti, cioè che una parte importante della Cisgiordania oggi è controllata da Israele attraverso gli insediamenti. Ma ciò da un lato non soddisfa i palestinesi e dall'altro creerebbe proprio delle difficoltà logistiche perché non c'è continuità territoriale, per cui ad esempio i palestinesi dovrebbero passare attraverso i check point per andare da una parte all'altra. In termini pratici è molto complicata".

Quale è la seconda alternativa?

"Sarebbe ancora più difficile da realizzare, e cioè la soluzione di uno Stato, che includa sia israeliani sia palestinesi sotto un unico tetto. Alcuni dicono che si potrebbe pensare a uno Stato federale, come ad esempio il Canada, dove da una parte si parla ebraico e dall'altra arabo. Ma ciò sarebbe ugualmente molto lontano dalla realtà attuale. Tutto ciò poi si collega anche ad una dimensione politica interna: un governo come quello attuale israeliano, di centro destra, dipende dal voto dei cosiddetti coloni per cui andare verso una soluzione di questo tipo significherebbe perdere le elezioni successive a favore di un governo ancora più radicale. La situazione macro è complicatissima tanto che sono decenni che non se ne esce".

Come se ne esce invece dalla situazione di questi giorni in particolare?

"Israele in questo momento ha due obiettivi: eliminare Hamas e riportare a casa gli ostaggi. Eliminare Hamas implica molto probabilmente entrare a Gaza. Ma Tel Aviv viene anche incoraggiata da altri, Stati Uniti in primis, a non farlo, anche perché, seppure ci riuscissero, dovrebbero restarci molto tempo e sacrificare vite umane, anche quelle degli stessi ostaggi.

Allo stesso tempo Israele non può non reagire dal suo punto di vista, per cui sta  bombardando Gaza, dove il numero dei civili uccisi è già altissimo ed è destinato ad aumentare. Il tema è: è possibile per Israele annientare in modo significativo la leadership di Hamas e le sue capacità militari senza entrare a Gaza? Di questo si sta discutendo, anche perché entrare a Gaza darebbe la possibilità pure ad altri ruppi di reagire in difesa, come nel caso degli Hezbollah. È una trappola doppia".

Crede che questo conflitto durerà a lungo?

"Se Israele riuscisse ad avere la ragionevole certezza di aver ucciso una buona parte della leadership di Hamas e con qualche operazione chirurgica riuscisse a infiltrarsi e a portare in salvo gli ostaggi, io penso che non entrerebbe a Gaza. Ma è sicuramente un progetto che prende tempo, sapendo che entrare è pericoloso".

Pensa che possa esserci un soggetto terzo in grado di intervenire per appianare la tensione?

"Ci potrebbe essere sicuramente un soggetto terzo in grado di favorire un dialogo, ma appianare la tensione mi sempre una cosa abbastanza complicata. Qualcuno che possa creare un qualche canale c'è, anche la Russia, pure se gli Usa non vorrebbero, perché Mosca potrebbe riacquisire potere in Medio Oriente, ma certamente ha contatti con le due parti. Potrebbe essere un mediatore di rilievo, così come il Qatar, che ha una certa tradizione di colloqui, pensiamo ad esempio a quelli tra Donald Trump e i talebani a Doha nel 2020. Altri paesi che potrebbero giocare un ruolo importante potrebbero essere Turchia ed Egitto, ma non gli Usa".

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