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Guerra in Ucraina

Perché la controffensiva ucraina può indebolire Putin, ma non porterà pace tra Mosca e Kiev

La consapevolezza che tutto va male “aumenta soprattutto nelle élite”, dice a Fanpage.it l’analista Barbashin. Ma non ci sono rivolte in vista. Gli uomini del presidente “sono legati a Putin, anche a costo dei loro interessi colpiti dalla guerra”.
A cura di Riccardo Amati
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Nemmeno le incursioni sul suolo patrio scuotono l’apatia dei sudditi di Vladimir Putin. Solo nelle regioni sotto attacco al confine dell’Ucraina “cresce il malcontento nei confronti di un regime non in grado di difendere la patria”. A Mosca aumenta però il pessimismo nelle élite. Che “soffrono, anche se per ora non si ribellano”.

L’analista politico russo Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle, non ritiene che la complessa situazione che vede i “russi liberi” conquistare città e prender prigionieri nella regione di Belgorod e in altre aree vicine al confine ucraino possa provocare crisi immediate e mettere a rischio il regime. Ma la consapevolezza che “tutto sta andando al contrario di come dovrebbe” è ormai presente. Sopratutto ai piani alti. Cremlino compreso, dice Barbashin a Fanpage.it.

L’analista non ritiene al momento la possibilità di alcuna crisi interna o “slancio politico” che possa facilitare un processo di pace: “Parlano solo le armi”. Per quanto riguarda il capo dei mercenari Wagner Yevgeny Prigozhin, salutato come un possibile alleato da alcuni dei protagonisti delle recenti incursioni e osteggiato dalle forze regolari russe al punto che la strada dei suoi “wagneriti” si è rivelata cosparsa di mine, agguati e scontri a fuoco, “non si opporrà mai direttamente a Putin”, secondo Barbashin.

Mentre le manifestazioni per la libertà di Alexei Navalny, il leader dell’opposizione in prigione da oltre 860 giorni e che rischia trent’anni per accuse definite dai suoi sostenitori politicamente motivate, sono “solo simboliche”.

Raggiungiamo telefonicamente Anton Barbashin nel Paese in cui dalla Russia ha dovuto rifugiarsi per ragioni di sicurezza.

Anton Barbashin, direttore editoriale Riddle
Anton Barbashin, direttore editoriale Riddle

Una controffensiva ucraina che avesse successo riconquistando parte dei territori invasi dalla Russia potrebbe convincere il Cremlino a compromessi per arrivare alla pace?

Non vedo alcuna possibilità di compromesso. Su quali basi? Certo, dipenderà da quel che avverrà sul campo. Ma se ci fosse una grande controffensiva vittoriosa Kyiv non si accontenterebbe solo di parte dei territori contesi: rivorrebbe i suoi confini precedenti al 2014. E nel caso di un mezzo successo o di uno stallo, dubito che il Cremlino sarebbe disposto a cedere parti del suolo ucraino su cui ha il controllo. Non vedo sviluppi politici o slanci che possano portare alla pace. Parlano solo le armi.

Per la prima volta da molti mesi si sono viste proteste, seppur sporadiche, in Russia: per il compleanno di Navalny il 4 giugno. Ci sono stati oltre un centinaio di arresti. È il segnale di un risveglio della società civile?

È solo un evento simbolico, non indica alcun cambiamento in atto e non avrà un impatto evidente sulla società. Dimostra che ci sono ancora persone che accettano di rischiare, nonostante la repressione, pur di esprimere le loro idee sulla Russia del futuro. È un evento rilevante per chi vi ha partecipato, perché dimostra che l’opposizione, anche se sparuta, esiste ancora. È viva. E certo così si comunica a chi è fuori dal Paese, anche ai russi emigrati o esiliati, che nella Federazione non tutti sono politicamente apatici o schierati col regime. Ma no, non è il segnale di un “risveglio”.

Prima i sabotaggi e i raid di droni su Mosca. Ora interi battaglioni di “Russi liberi” entrano in territorio russo dall’Ucraina, occupano paesi come Novaya Tavolzhanka, prendono prigionieri. La guerra è arrivata sotto casa. Cosa cambia, per i russi? L’effetto è di stringersi intorno alla bandiera o al contrario diminuisce il sostegno alla guerra?

Sicuramente non il secondo. Piuttosto quanto avviene potrebbe favorire il sostegno a qualsiasi decisione di intraprendere trattative di pace. Semmai ci sarà, e non credo che per ora ci sarà.

Ma a Mosca si stanno davvero rendendo conto di quel che succede? Oltre quattromila evacuati nella zona di Shebekino, Belgorod oblast, almeno nove morti (i dati sono quelli del governatore Gladkov). “Shebekino è Russia”, è l’hashtag dominante da quelle parti sui social. È un grido per aver maggiore attenzione?

Quel che sta succedendo nei territori russi a ridosso dell’Ucraina non comporta che tutta la popolazione abbia capito cosa è davvero questa guerra e che cosa abbiamo fatto noi russi agli ucraini. Ma certo in molti qualche idea se la stanno facendo. E c’è rabbia nei confronti delle autorità, che non sono state capaci nemmeno di organizzare un’evacuazione ordinata dai territori sotto attacco: la gente ha dovuto in molti casi arrangiarsi con mezzi propri. Soprattutto, c’è la consapevolezza che le linee difensive delle forze armate russe non sono in grado di difendere granché.

Come racconta la propaganda del regime questi avvenimenti?

Ridimensionandoli, ovviamente. E la propaganda, dilagante in tutta la Russia, è ancora più mirata e potente nelle regioni confinanti con il Donbass e i territori occupati in Ucraina. Quindi non ci si possono certo aspettare rivolgimenti o proteste di massa dopo le incursioni nemiche, anche se il sostegno alla guerra fosse decisamente in calo. D’altra parte, il raid dei droni su Mosca non ha comportato particolari conseguenze per l’atteggiamento della popolazione nei confronti del regime: aumenta lo scetticismo, ma nessuno pensa davvero a protestare contro la guerra e contro le decisioni del Cremlino. E nemmeno, al contrario, si è vista una corsa ai centri di reclutamento per difendere la patria.

Un sondaggio del centro statistico indipendente Levada rileva che in maggio solo un russo su quattro seguiva con attenzione la guerra. Metà degli intervistati se ne disinteressava del tutto. Eppure c’era già stata l’incursione a Belgorod. E pure i droni su Mosca. Come si spiega?

E una tendenza in atto da tempo. La gente è stanca delle notizie sulla guerra. Al contempo è in preda all’ansia: ha paura che ci sia una nuova mobilitazione, teme di esser chiamata alle armi. Deve ascoltare tutto il giorno una propaganda battente per il sostegno al conflitto e al regime, per un impegno totalizzante a difesa del Paese. E così, il russo medio non ne può più. Si chiude in se stesso, cercando di andare avanti con la sua vita. Cercando di godersi i primi giorni d’estate, evitando di pensare troppo. La guerra per la maggioranza delle persone è diventata un rumore di fondo, che non ha certo la precedenza sui problemi e i bisogni individuali. Questo però comincia a non valere più per i russi che vivono nelle regioni occidentali confinanti con l’Ucraina e adesso sotto attacco.

I russi comunque, dopo gli attacchi sul loro territorio si sentono meno protetti dal regime. È un problema per Putin? Che succede nelle élite? Le incursioni sul suolo patrio possono alimentare divisioni, mettere a rischio il consenso?

Quale consenso? Se nelle élite vicine al potere c’è un consenso, questo è sul fatto che sta andando tutto al contrario dei piani. E si mette anche in dubbio che ci fossero dei piani veri e propri. Gli attacchi sul territorio russo hanno alimentato le paure che Putin non abbia una strategia, facendole diventare consapevolezza. Nessuno capisce cosa la Russia stia tentando di realizzare al momento. E ormai alcune delle figure più estremiste lo dicono più o meno apertamente anche alla tivù di Stato.

E questo potrebbe preludere a qualche tipo di rivolta?

Certamente le élite non stanno agendo nel loro interesse. Son legate mani e piedi a Putin ma quel che fa il Cremlino le sta penalizzando. Non ci sono sommovimenti in vista, no. Aspettano. La controffensiva ucraina potrebbe cambiare l’intera narrativa. Intanto, il consenso è che le élite sono nei guai. Questa guerra danneggia i loro interessi e non sembra voler finire presto. Può far gli interessi semmai dei siloviki, i capi dei servizi di sicurezza e delle forze armate. Ma non quelli dei veri potenti, dei grandi imprenditori di Stato alla corte di Putin. Loro soffrono. Finanziariamente, per le sanzioni personali e per l’isolamento internazionale della Russia. Non sappiamo in quanti diano la colpa direttamente a Putin o chi la dia invece all’Occidente. Ma certo la situazione per tutti loro è deleteria. Non c’è alcun ottimismo, tra le élite.

Qual è il gioco di Yevgeny Prigozhin? I “russi liberi” a Novaya Tavolzhanka inneggiano a lui. L’esercito regolare sparge mine davanti ai mercenari di Wagner. E Prigozhin gira la Russia, parla di economia. Si propone come nuovo leader della Russia?

Sta solo cercando di capitalizzare sui servizi resi dal suo gruppo Wagner a Bakhmut. Si propone come figura pubblica, vuole certo ottenere l’immunità, probabilmente entrando in politica. E vuole massimizzare i profitti delle sue vari operazioni imprenditoriali. Vuole anche colpire i suoi rivali, come il ministro della Difesa Shoigu. Magari punta a diventare il punto di riferimento degli ultra-nazionalisti, un nuovo Vladimir Zhirinovsky (il leader populista di ultra-destra ndr del partito Lpdr, morto un anno fa, ndr). Ma sono molto scettico sulla possibilità che possa mai davvero opporsi a Putin. Prigozhin è un prodotto di Putin. Dipende dalla sua protezione. Gli deve tutto.

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