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Non solo Kuciak, in Slovacchia manca all’appello un altro giornalista: Miroslav Pejko

Che fine ha fatto Miro? Era un reporter coraggioso che in Slovacchia si occupava di energia: aveva scoperto qualcosa di grosso? La sua sparizione è legata all’uccisione di Kuciak e della sua fidanzata? Fanpage.it pubblica il primo di tre articoli esclusivi di inchiesta su questo caso.
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Gli stessi addetti stampa che nel 2005 avevano gestito per il governo slovacco il danno di immagine che il film splatter Hostel aveva causato al piccolo paese centro europeo, sono ora disperatamente intenti a ridimensionare l’ondata di rivelazioni che rischia di portare alla luce verità nascoste non solo sull’assassinio del giornalista slovacco Ján Kuciak e la sua fidanzata Martina Kušnírova, ma anche sulla sparizione di un altro giovane giornalista di cui nulla si sa dal 2015: Miroslav Pejko.

In un’altalena di emozioni ancora una volta i cittadini slovacchi si vedono catapultati dal divano di casa direttamente in una spy story internazionale dove all'appello manca più di una persona. Questa volta, però, sparizioni ed omicidi non sono frutto della fantasia di un regista ma opera concreta di menti criminali.

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Grazie all'insostenibile pressione dell’opinione pubblica del paese, scioccata dall’esecuzione dei due giovani e disgustata dalle rivelazioni di possibili collegamenti tra il primo Ministro Robert Fico e l’imprenditore calabrese in odore di ‘ndrangheta Nino Vadalà, che il ministero degli Interni ha riaperto le indagini relative alla sparizione di Miroslav Pejko, un altro giovanissimo collega svanito nel nulla tre anni fa.

Miro, come era soprannominato dagli amici che, come questo reporter, preferivano riferirsi a lui con un appellativo più conciso, lavorava per il quotidiano economico Hospodarske Noviny per il quale scriveva per lo più articoli relativi al settore dell’energia. I genitori lo descrivono come un ragazzo ambizioso, il più intelligente della famiglia, un figlio del quale sono molto orgogliosi e per il quale speravano un promettente futuro.

Simile il ricordo del collega italiano Ottaviano Nenti: "Avevo conosciuto Miroslav in una conferenza stampa del commissario europeo all'istruzione a Budapest. Ci occupavamo entrambi di università, ricerca e formazione. Per come lo avevo conosciuto era un ragazzo davvero in gamba, di grande valore umano e di grandi ideali e al contempo molto solare. Quel che gli è successo mi ha sconvolto".

Il 17 di marzo del 2015 Miro è uscito di casa con una maglia nera blu e verde e delle scarpette da ginnastica verdi, recando con sé solo le chiavi dell’appartamento che condivideva con due amici. I suoi due cellulari, i documenti personali, del denaro e le sue carte di credito erano ordinatamente disposti sul tavolo della sua stanza senza nessun indizio che potesse suggerire alcuna ragione per la sua scomparsa. Persino il suo notebook era stato lasciato acceso come se si fosse allontanato solo per qualche minuto.

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Nell’assenza di indizi e nel sospetto che Miro fosse prono all’abuso occasionale di sostanze, l’impegno della polizia per la risoluzione del caso è stato negli anni formale, se non addirittura solo apparente. Una volta inserito il suo nome nel folto elenco delle persone scomparse nel paese il suo fascicolo è finito sepolto in archivio, insieme ad innumeri altri casi irrisolti. Zuzana l’amica che ne ha segnalato la scomparsa alla polizia continua a cercarlo: "Continuo a sperare che sia vivo, a pensare che un giorno riuscirò a rivederlo". La famiglia non riesce, giustamente, a farsene una ragione perché, come spiega il fratello Marian "per noi è stato un shock, non abbiamo nessuna informazione, non ci hanno fatto sapere nulla, questa è la cosa più terribile".

A mantenere vivo l'interesse sul caso solo alcuni suoi colleghi (John Boyd e Ivan Brada) che hanno immediatamente collegato la scomparsa di Miro alla precedente sparizione, nel 2008, del collega Pavol “Palo” Rýpal,  un reporter investigativo che si occupava di criminalità organizzata e la cui sorella era andata a scuola con Miro.

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Anche Fabio Benati, esponente della FNSI e dell'Ordine dei giornalisti, ritiene che "fare luce su questi casi sia un nostro dovere sia per restituire Verità alle persone con cui hanno condiviso lavoro e affetti, sia per sostenere colleghe e colleghi che con articoli, interviste e reportage denunciano le infiltrazioni mafiose nei gangli dell'economia, della finanza e della società globalizzata".

Intenzionati a fare quanto possibile per scoprire la verità, abbiamo intervistato chiunque lo avesse conosciuto a titolo personale o professionale ottenendo la fiducia degli amici e parenti più cari. Proprio loro ci hanno consegnato alcuni oggetti personali e strumenti di lavoro, consentendoci forse, di conservare ed assicurare l’integrità di importanti indizi in relazione alla sua scomparsa che la polizia slovacca non ha avuto sino ad oggi alcun interesse ad esaminare.

Per questo, e dopo aver più volte tentato di sollecitare l’interesse delle forze dell’ordine per questi reperti, col permesso della famiglia, ci vediamo costretti a rivelare pubblicamente i primi esiti delle nostre investigazioni che usciranno nei prossimi giorni su Fanpage.it

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