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La politologa russa Stanovaya: “Da Putin nessuna rappresaglia contro NATO o Europa dopo strage a Mosca”

L’intervista di Fanpage.it a Tatiana Stanovaya, fondatrice di R.Politik: “Putin non ha prove del coinvolgimento di Ucraina e Occidente nell’attacco terroristico a Mosca, e prende tempo. Le parole del capo dei servizi segreti sono dovute al desiderio di compiacere il presidente: non significa che ci siano piani precisi”. Ma il regime “sfrutterà l’attentato di Mosca per aumentare l’aggressività”.
A cura di Riccardo Amati
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Nonostante le dichiarazioni del capo dell’Fsb Alexander Bortnikov, che punta il dito non solo sull’Ucraina ma anche su Washington e Londra promettendo “rappresaglie”, Vladimir Putin per adesso procede con i piedi di piombo rispetto alle responsabilità dell'attentato di venerdì scorso al Crocus City Hall di Mosca. "La situazione è delicata ma non da sopravvalutare", dice a Fanpage.it Tatiana Stanovaya, fondatrice di R.Politik.

"Ci aspettiamo qualcosa di enorme ma alla fine la risposta sarà più equilibrata rispetto ai nostri timori". Putin "non vuole esser trascinato in una escalation pianificata da altri". Vuole esser lui a dare le carte. Prepariamoci a una "sempre maggiore aggressività ma non sono in vista eventi estremi", ha aggiunto Stanovaya, una delle più ascoltate specialiste della politica russa, che ha fonti privilegiate nel cuore del "sistema Putin" e le sue analisi risultano puntualmente rilevanti e azzeccate.

Dottoressa Stanovaya, ha un’idea di quali potrebbe essere la rappresaglia di Putin?

"E Putin ce l'ha un'idea? Francamente, credo di no. Certo, sente il bisogno di vendicarsi. Intende combattere coloro che stanno dietro a tutto questo, e mostrare a tutti che lo combatte. Ritene che la Russia disponga di tutti gli strumenti necessari per rispondere. Ma non sono sicura che, almeno per adesso, abbia un quadro chiaro di ciò che farà. Dovrebbe prima avere qualcosa in mano contro i presunti mandanti. E la verità è che al momento non hanno alcuna prova. Niente da mostrare. Possono solo dire che per le modalità dell’attacco ritengono che ci sia qualcuno dietro. Ma lo stesso Putin è rimasto abbastanza sul vago. Se si analizzano le sue parole, non è andato molte oltre il riconoscere che l’attentato è stato compiuto da estremisti islamici. Ha suggerito un ruolo dell’Ucraina. Ma non ha elaborato più di tanto".

Hanno elaborato però i suoi collaboratori. I capi del Consiglio di sicurezza e del servizio di intelligence interna sono stati espliciti nell’indicare Kyiv e gli alleati occidentali. E hanno preannunciato un rappresaglia, appunto.

"Il potere in Russia non è esattamente un monolite. Ascoltare le parole della leadership del regime non significa ascoltare Putin. Il fatto è che i capi dei servizi e altre persone al vertice hanno una motivazione tutta loro: quella di soddisfare il capo. Hanno sentito il presidente accennare all’Ucraina e allora raddoppiano. Ritengono che Putin voglia incolpare Kyiv e si allineano. Anzi vanno oltre. Per compiacerlo".

E questo è un vecchio problema del regime russo e di tutti i regimi dittatoriali, soprattutto quando sono da troppo tempo al potere: nella élite pullulano gli “imprenditori” che agiscono per guadagnarsi vantaggi cercando di compiacere l’autocrate.

"Mi sembra importante sottolineare che non è stato Putin a parlare di coinvolgimento di Usa e Gran Bretagna. E che ha solo accennato a una copertura degli attentatori da parte di Kyiv e a presunti vantaggi che Kyiv avrebbe ottenuto dall’attentato. Senza nemmeno dirlo in modo aperto. È stato molto cauto. Conoscendo il tipo, probabilmente pensa davvero che ci sia una “pista ucraina” da seguire. Ed evidentemente la linea per i suoi sottoposti è di trovare assolutamente qualche prova in questo senso. E i sottoposti, non avendo niente in mano, si sono intanto scatenati con le parole".

Di prove, o presunte tali, da sbandierare non mi pare che per ora ne abbiano. E se non le trovano, che succede? Che fanno per compiacere Putin? Se le inventano?

"In realtà non ho una risposta a questa domanda".

Putin non ha nemmeno mai pronunciato la parola “Igil”, l’acronimo russo per Isis. Ed è andato molto cauto a parlare di fondamentalismo islamico. Ha definito “estremisti” gli attentatori ma non ha chiamato in causa organizzazioni o movimenti particolari. In Russia ormai il 20% della popolazione è di religione musulmana, dopo che il governo ha incoraggiato per anni l’immigrazione dagli Stati ex sovietici dell’Asia centrale. Per questo il presidente ci va con i piedi di piombo? Teme sollevazioni islamiste interne?

"No, non lo ritene un rischio reale. Certo deve trovare un equilibrio. C’è molto malcontento tra i nazionalisti del campo “patriottico” e tra gli ultra-conservatori che vorrebbero più severità sull’immigrazione. Ma Putin sa che l’economia russa ha bisogno di manodopera. Per questo, anche dopo una tragedia come quella del Crocus, deve misurare la sua retorica".

D’altra parte, anche a fronte dei pogrom antiebraici dell’ottobre scorso in Daghestan, la reazione delle autorità fu sorprendentemente mite, se la compariamo alla scala della repressione contro l’opposizione politica. Il regime quando deve confrontarsi con azioni non direttamente anti-Putin sembra spiazzato. Come se non sapesse bene come rispondere.

"È così. È una vulnerabilità di questo regime. Non sa davvero come comportarsi nei confronti di chi crea problemi ma non perché è contro i contenuti governativi. La caratteristica è evidente soprattutto a fronte delle proteste “lealiste”. Come quelle delle madri dei soldati che vogliono il ritorno a casa dei figli dal fronte ucraino. Non sono contro Putin, checché se ne dica sui media occidentali. Vogliono solo una maggiore organizzazione del servizio militare. Criticano il governo in senso costruttivo, per così dire. E il governo non sa bene come comportarsi. E non usa il pugno di ferro, evita la repressione. Tipico di Putin".

E quanto è grave questa “vulnerabilità”? Quanto indebolisce il regime il fatto che la repressione non sia, per così dire, universale?

"Non penso che sia una debolezza politica istituzionale. Se guardiamo alle capacità e alle risorse del regime, alla fine non è un problema. Basta pensare alla rivolta, quasi lealista, di Prigozhin: inizialmente Putin non sapeva come reagire, come se non riuscisse a mantenere il controllo. Ma poi ha dimostrato che non si possono fare giochetti di questo tipo, con lui. E l’effetto destabilizzante è stato minimo".

Anche nel caso dell’attacco terroristico a Mosca, per molte ore Putin non ha parlato. Come se non sapesse come rispondere. Ora che farà? In passato i grandi attentati sono stati seguiti da nuove leggi restrittive e maggiore aggressività degli apparati di sicurezza, in Russia. C’è da aspettarsi una maggiore aggressività? Anche verso l’esterno?

"In periodi precedenti all’era Putin è stato così. Al giorno d'oggi, ci sono molti altri fattori che accelerano la repressione e spingono le autorità ad affrontare i nemici interni ed esterni. Ma questo attacco, credo, diventerà un fattore ulteriore. Non quello principale, non quello dominante, ma uno dei fattori che aggiungerà ulteriore forza a questo slancio".

Putin è più debole o, paradossalmente, più forte dopo lattacco?

"Entrambe le cose allo stesso tempo. Naturalmente, l’attentato del Crocus a Mosca è un duro colpo per il regime. Che ha esposto la sua vulnerabilità di fronte ad attacchi di questo tipo. Ma allo stesso tempo, Putin utilizzerà questo attacco per diventare ancora più forte, per aumentare il controllo politico e amministrativo. Per sviluppare una nuova legislazione. Useranno questa tragedia come pretesto per diventare ancora più duri con quel che rimane della cosiddetta opposizione non sistemica. Ci sono ancora molte persone in Russia che sono contro Putin. I servizi di sicurezza sono sempre più impegnati a individuare motivi per reprimere il dissenso. Per esempio, ormai verificano anche i messaggi scritti sui social anni fa dai potenziali indagati, per inchiodarli".

Tornando a quel che dicevamo all’inizio di questa conversazione: se Putin riuscirà a trovare una prova vera o finta di un collegamento dell’attentato di Mosca con l’Ucraina o con l'Occidente, dobbiamo aspettarci una rappresaglia clamorosa? Un attacco diretto? L’atomica?

"Credo che si stia sopravvalutando una situazione certo molto delicata. Ci aspettiamo qualcosa di enorme ma alla fine la risposta sarà più equilibrata rispetto ai nostri timori.  Dipenderà molto da ciò che riusciranno a scoprire riguardo a questo attacco. Poi reagiranno in base a ciò che dicono di aver scoperto. Ma attenzione, Putin ha una preoccupazione molto specifica: quella di non essere trascinato in una escalation provocata da altri. Vuole essere lui a dare le carte. Ciò non significa che non farà nulla. Cercherà di reagire in modo misurato, pur dimostrando la sua determinazione. Di certo non vedremo alcuna rappresaglia contro la Nato o l’Europa".

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