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Opinioni

La guerra di cui Trump aveva bisogno

La popolarità di Trump era ai minimi, la sua azione politica risibile, lo scontro con il Congresso (e con i Repubblicani) avanzato, la spaccatura con i militari – spaventati dai suoi rapporti con la Russia – più profonda di quanto i media non raccontassero. Trump aveva bisogno di una guerra e l’ha avuta.
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Gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco contro la Siria: il Presidente Donald Trump ha ordinato il lancio di 59 razzi Tomahawk verso la base di Al Shayrat, da cui erano partiti gli aerei con le armi chimiche responsabili della strage di Khan Sheikhoun, che ha visto la morte di 80 persone tra cui 28 bambini. "È di vitale interesse per la nostra sicurezza", ha dichiarato l'inquilino della Casa Bianca per spiegare la natura di questa decisione.

L'apparato militare degli Stati Uniti – come in tutti gli scenari di guerra – ha dato al "Commander in chief" una rosa di opzioni: dall'invasione con le truppe di terra al bombardamento mirato. Trump ha scelto quella che gli consentisse di dare un colpo al cerchio e un altro alla botte. In altri termini compattare l'opinione pubblica intorno alla sua figura e allontanarsi dall'ombra di Putin.

Trump aveva bisogno di una guerra perché è l'unica azione politica che può intraprendere senza passare per il Congresso e/o una sentenza della Corte Suprema. Dal "muslimban" alla riforma dell'Obamacare tutte le scelte di politica interna sono andate a scontrarsi con la macchina dello Stato. La gestione "manageriale" alla quale The Donald ambiva si è scontrata con la Costituzione e le norme che regolano l'apparato degli Stati Uniti. La sua incapacità di agire da politico – e non da manager d'azienda – l'aveva bloccato in un impasse che non era mera staticità, ma perdita di consenso e di potere.

Nei sondaggi aveva il consenso più basso mai registrato da un Presidente nei primi cento giorni (per avere una metrica era pari al consenso di Carter durante la crisi iraniana); il suo entourage era stato messo alla porta (da Flynn a Bannon, passando per Nunes) e l'inchiesta sui suoi rapporti con la Russia avanzava a ritmo incessante con il direttore dell'FBI e il capo dell'NSA che confermavano un'indagine sugli incontri dello staff di Trump – e forse di Trump stesso – con uomini d'affari e spie russe. The Donald a meno di cento giorni dalla sua elezione era già sull'orlo del baratro. Nessuno dell'apparato militare gli avrebbe perdonato una relazione con la Russia (motivo per cui il Generale McMaster ha chiesto e ottenuto che Bannon fosse estromesso dal Consiglio per la Sicurezza, perché considerato uomo vicino agli interessi russi). Il predecessore di McMaster (Flynn), dopo le dimissioni, si era detto disposto a parlare sui rapporti Trump-Russia in cambio di immunità.

The Donald si è ritrovato accerchiato e incapace di agire da Presidente degli Stati Uniti. Ha capito sulla sua pelle che essere Presidente non vuol dire avere un potere illimitato sulle scelte di politica interna, ha capito che deve passare per il consenso del Parlamento, ha capito che le leggi devono passare al vaglio della Corte Suprema, ha capito che le forze di sicurezza sul suolo americano non sono sotto il suo controllo: si è reso conto che è "Commander in Chief" quando si tratta di azioni che non avvengono sul suolo americano.

Ha capito che aveva bisogno di una guerra. Ha capito che solo una guerra avrebbe fatto dire a un senatore come McCain: "Che il Presidente ora ha bisogno del supporto di tutto il popolo americano unito"; ha capito che solo una guerra avrebbe consentito a FoxNews di dire: "Sembra una persona diversa, cambiata, sta agendo da guida del mondo libero". Ha capito che solo una guerra avrebbe potuto spazzare l'ombra dei suoi rapporti con la Russia.

Però, ora bisogna cercare di rispondere anche a un'altra domanda: oltre Trump chi ha bisogno di questa guerra?

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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