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La morte di Alexei Navalny

I dubbi sulla morte di Navalny: l’ipotesi Novichok e il mistero del cadavere congelato

I familiari insistono sull’ipotesi avvelenamento, il corpo verrà trattenuto per settimane. L’esperto: “Può essere un indizio”. Intanto le voci del carcere raccontano che il cadavere “era congelato”. E che il dissidente è stato picchiato. Mentre parte l’inchiesta ufficiale. Con ogni probabilità concluderà che si tratta di morte naturale.
A cura di Riccardo Amati
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L’ipotesi più probabile sulla morte di Alexei Navalny è che sia stato ucciso col Novichok o con qualche altro agente nervino dello stesso gruppo. Almeno è quanto ritengono la sua famiglia e i suoi collaboratori. “Per questo non ci ridanno il corpo”, dicono. Gli esperti concordano. Ma i racconti dei compagni di prigionia di Alexei Navalny aprono anche alla possibilità che sia stato torturato a morte durante l’ora d’aria nella colonia penale “Lupo polare” di Kharp, nell’area più remota e meno raggiungibile della Siberia centro-settentrionale. In entrambi i casi, la responsabilità ricadrebbe interamente sul Cremlino.

“Sappiamo che Putin, anche se non ha mai voluto pronunciarne il nome, aveva un forte interesse personale nei confronti di Navalny”, dice a Fanpage.it Mark Galeotti, tra i maggiori esperti mondiali della politica e dei servizi di sicurezza russi. “Per qualsiasi altra persona, decidere di ucciderlo senza il via libera del capo sarebbe inconcepibile”. L’eventuale eliminazione diretta, così come l’ipotetica letalità delle torture, non potrebbe che essere state approvata direttamente da Vladimir Putin.

Il corpo negato alla famiglia

La storica portavoce di Navalny, Kyra Yarmush, ha reso noto che l’accesso all’obitorio è stato nuovamente negato alla madre e agli avvocati, e che il corpo non sarà riconsegnato alla famiglia per almeno altre due settimane. “Se è stato avvelenato, più trattengono il cadavere e più difficile sarà poi trovare le tracce della sostanza utilizzata”, spiega a Fanpage.it il docente di chimica dell’University College di Londra Andrea Sella, che ha seguìto da vicino sia il caso dell’attentato al Novichok contro l’ex spia russa Sergey Skripal nel 2018 nella città inglese di Salisbury che il mortale attacco al polonio contro Alexander Litivinenko, anch’egli ex agente dei servizi di sicurezza russi, nel 2008 nella capitale britannica.

“Si tratta di rallentare le cose e rendere ogni analisi più difficile: più il corpo si degrada, meno tracce rimangono. In particolare, per il Novichok, o per una sostanza simile, è importante fare l’autopsia il più presto possibile, se se ne vuole accertare la presenza”.

Al secondo tentativo di avvelenamento

Il direttore del Fondo anti-corruzione creato da Navalny, Ivan Zhdanov, ha ricordato su Telegram che anche dopo l’avvelenamento subìto dal dissidente nell’agosto del 2020 le autorità non volevano lasciarlo esaminare subito da medici terzi. Al paziente vennero sottratti e mai restituiti alcuni oggetti personali probabilmente contaminati.

“Eppure in quel caso fu possibile, quando poi Navalny fu trasportato in Germania, accertare la presenza nel suo organismo di un agente nervino della famiglia del Novichok”, nota il professor Sella. Se si è ripetuto, purtroppo con successo, l’avvelenamento di tre anni e mezzo fa, stavolta vogliono prender più tempo e far sparire del tutto  il Novichok? “Probabile. Ammesso che abbiano usato proprio il Novichok”, risponde lo scienziato. “Perché la prassi più efficace per i killer sarebbe quella di cambiare le sostanze che utilizzano, per rendere più difficile la diagnosi e la cura”.

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Il Novichok è il veleno preferito delle spie

“Il Novichok — continua Sella — era già stato utilizzato non solo su Skripal e Navalny ma anche per l’attentato subìto nel 2017 dal politico di opposizione Vladimir Kara-Murza. E con ogni probabilità anche nel 2018 per avvelenare l’attivista del gruppo Pussy Riot Pyotr Verzilov. Che si salvò grazie alle cure dei medici tedeschi”. Quelli che poi, grazie all’esperienza acquisita, salvarono Navalny due anni dopo.

Un’altra controindicazione dell’utilizzo del Novichok per uccidere la gente è nel fatto che si tratta di una sostanza estremamente volatile e “pericolosa da maneggiare”, nota l’accademico. Ma concorda sul fatto che questo modo di agire non strettamente razionale e soprattutto il voler lasciare una firma inequivocabile “sono tipici dei servizi di sicurezza russi”.

Secondo l’esperto di veleni, “l’obiettivo è quello di lanciare un messaggio preciso: siamo stati proprio noi, possiamo trovarvi e uccidervi quando vogliamo, dovunque siate. E resteremo impuniti”. Nel caso della morte di Navalny, poi, le “controindicazioni” del Novichok non avrebbero molto peso, “visto la situazione di assoluto controllo sulla vittima”, conclude Sella. In prigione, senza alcuna possibilità di farsi curare da chi davvero potrebbe farlo. E per gli eventuali killer la possibilità di agire in un ambiente per loro sicuro, dove gli imprevisti sono minimi e i pericoli ridotti.

La teoria di Osechkin sulla morte di Navalny

“Si parla di veleno, ma per ora non c’è niente che dimostri sia andata in quel modo”, dice a Fanpage.it Vladimir Osechkin, direttore della Ong Gulagu.net, che difende i diritti degli “zek”, come vengono chiamati in Russia i carcerati. “Ci sono invece  alcune indicazioni che fanno pensare all’“operazione speciale” di una squadra che ha aggredito Navalny durante la sua ora d’aria picchiandolo a morte”. E la prima di queste indicazioni è un cadavere congelato.

“Un detenuto del ‘Lupo polare’ — racconta Osechkin — ci ha riferito di aver visto il corpo di Navalny: era completamente solidificato dal gelo”. Secondo la versione ufficiale, il dissidente è morto alle 14:15, dopo essersi sentito male tra le 12:30 e le 13:00 di ritorno dalla passeggiata concessagli giornalmente.

“Il problema è che Navalny l’ora d’aria ce l’aveva alle sei e mezzo del mattino. E quella mattina la temperatura era meno 25” dice il capo di Gulagu.net. “Non è possibile che sia rimasto a camminare così a lungo. Era sofferente dei postumi dell’avvelenamento subìto nel 2020 e delle torture sofferte in prigione, dove era confinato nello shizo (cella punitiva di tre metri per due e mezzo, con solo un panchetto e un letto a scomparsa ritirato durante il giorno, ndr). “Un uomo malato non sta quattro ore di fila all’esterno con un tale freddo”.

Le voci dei prigionieri del "Lupo polare"

L’ipotesi è che sia stato ucciso intorno alle sei e trenta e che il suo corpo sia stato lasciato all’addiaccio per molte ore. Abbastanza per congelarsi, con quelle temperature. La fonte di Osechkin all’interno del carcere ha inoltre confermato che il cadavere aveva lividi evidenti. Anche all’altezza del cuore. Risultato delle manovre di rianimazione? Possibile, in teoria. Ma chi proverebbe a rianimare un cadavere congelato? D’altra parte, i lividi potrebbero essere il segno delle convulsioni tipiche di un avvelenamento. Anche da Novichok, ci ha detto il professor Sella. Resta il mistero del congelamento.

Secondo Osechkin, ci sono elementi concordanti che fanno pensare si stesse preparando da tempo una “operazione speciale” per uccidere Navalny. Lo spostamento dell’ora d’aria. Il recente arresto di tutti i suoi avvocati, che l’ha ancor più isolato nel carcere più isolato del mondo. Soprattutto, l’arrivo, due giorni prima della morte del dissidente, di una squadra dell’Fsb che  — ha raccontato una fonte carceraria a Gulagu.net  —  ha disinstallato o messo fuori uso le telecamere che che riprendono ogni angolo del carcere e della “zona”, nome in gergo dell’area esterna ai dormitori tipica dei gulag. Si spiegherebbero anche i movimenti notturni di auto, dei quali una altra fonte interna alla colonia penale ha parlato a Novaya Gazeta Europe.

“Nascondono il corpo perché non vogliono far vedere che lo hanno letteralmente ammazzato di botte”, sostiene Oneshkin. “Noi pensiamo che, preparato il terreno, una squadra dei reparti speciali sia arrivata al Lupo Polare e abbia picchiato Navalny fino a ucciderlo”. La più barbara delle esecuzioni. Altro che il sofisticato Novichok.

I punti chiave della storia di Navalny

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Resta ovviamente la possibilità che Alexei Navanly sia morto di morte naturale. È molto probabile che le investigazioni avviate dalle autorità russe confermino questa versione. E allora è utile mettere in fila alcuni fatti. Navalny è stato avvelenato nel 2020 e al suo ritorno in Russia è stato arrestato per accuse considerate da Amnesty e la totalità delle organizzazioni per i diritti umani “politicamente motivate”. È stato sottoposto a un regime carcerario che secondo le stesse organizzazioni equivale alla tortura. È stato messo in punizione almeno 27 volte, nello shizo, che abbiamo descritto sopra. Poi lo hanno spedito in una colonia penale oltre il Circolo polare artico, dove ha avuto sempre meno comunicazione con il mondo. I suoi avvocati sono stati arrestati e messi sotto processo.

È rimasto solo, nel “Lupo Polare”. Il 16 febbraio, le autorità russe hanno annunciato la sua morte. Non lo hanno fatto vedere ai familiari e hanno spiegato che ci vorranno ancora almeno 14 giorni perché i resti vengano restituiti. Putin ha conferito il grado speciale di colonnello generale del servizio interno al vicedirettore del servizio penitenziario federale Valery Boyarinev. Tre giorni dopo la morte di Navalny. Qualche dubbio su quel che potrà uscir fuori dall’inchiesta ufficiale ci pare più che lecito.

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