Guerra in Ucraina, perché trattare con la Russia è così difficile: i no di Putin e su cosa è disposto a cedere

L’ottimismo dopo le dichiarazioni americane sui negoziati si è rivelato mal riposto. Ancora una volta. Da oltre un secolo, il wishful thinking condiziona la percezione occidentale delle strategie di Mosca. Traduzione approssimativa del termine usato da storici e diplomatici: “pie illusioni”. Per evitare le illusioni, va decifrata la tattica negoziale russa. Conoscere i punti non negoziabili e quelli discutibili facilita la pace. I negoziatori di Trump devono leggere la realtà al di là dell’atteggiamento. E mostrarsi risoluti, convincendo Putin che la pace è urgente, non solo per Kyiv, dove è percepita come una necessità esistenziale che vale compromessi dolorosi, ma anche per Mosca.
Urgenza contro fretta
Trump non percepisce la pace come necessità. Muove freneticamente le pedine ma non ha l’esigenza imprescindibile di chiudere la partita. È impaziente, vuole liberarsi del “problema Ucraina” per forzare i tempi della sua agenda politica. E chissà se punta ancora al Nobel. Ma non sembra disposto a azioni risolutive coraggiose. La sua non è urgenza. È solo fretta. Una cattiva consigliera, che spesso porta a decisioni sbagliate.
Alla Casa Bianca confondono il movimento con l’azione, parafrasando un detto hemingwayano. Pensano che comunicare su media e social sia un’azione in grado di determinare gli eventi. Come se dichiarazioni tipo “il 90 per cento dei problemi che impedivano la pace sono risolti” potessero mettere Putin con le spalle al muro. Non è così. Servono mezzi concreti. “L’amministrazione Trump sembra ignorare che la guerra finirà solo con pressione reale sulla Russia”, osservava Anne Applebaum in un’intervista con Fanpage.it durante una fase cruciale del negoziato. “Se Trump usa argomenti forti, si può arrivare a un accordo tollerabile per Kyiv”, concorda il politologo Anton Shekhovtsov, da noi interpellato su X.
Tattiche negoziali e paradossi
Mosca ha una supremazia – seppur faticosa – sul campo di battaglia. Questo pesa, nella trattativa. “La nostra posizione negoziale si fonda sul fatto che siamo i vincitori”, ha detto a Fanpage.it il consigliere di Putin Dmitry Suslov. Un orientamento di fondo parziale quanto vantaggioso.
E le tipicità dell’approccio diplomatico russo danno a Mosca vantaggi ulteriori, in questa fase. I negoziatori di Putin sono maestri nella “tattica del logoramento”: riempiono le discussioni di dettagli irrilevanti per stancare l’avversario e indurlo a errori. Un classico sono le tattiche dello “specchio morale” e della “citazione selettiva”, con cui si accusa l’Occidente – spesso a ragione – di ipocrisia o di passati crimini per deviare l’attenzione dalle proprie azioni aggressive. In particolare, i russi utilizzano in questi giorni uno schema identificato già nella diplomazia sovietica da Henry Kissinger: chiedere l’impossibile per ottenere tutto ciò che è possibile. “Combinano ultimatum e richieste massimaliste per spingerci a fare concessioni estreme”, (Kissinger, Diplomacy 1994).
Stessa cosa oggi riguardo all’Ucraina. Già nell’ultimatum di dicembre 2021 a Usa e Nato, Mosca chiedeva il ritorno dell’Alleanza ai confini del 1997. Pretesa impraticabile. Pochi mesi dopo, nell’aprile 2022 a Istanbul, la Russia propose a Kyiv un sistema di sicurezza con potere di veto russo. Il paradosso perfetto: affidare la tua protezione a chi ti vuole morto. Inaccettabile, ovvio.
Puntare alla Luna per raggiungere lo Sputnik
I russi sapevano che quella mossa sarebbe rimasta sulla carta. Ma sulla loro bozza di accordo la trattativa si spezzò. “Non sappiamo se Mosca sarebbe poi stata disposta a rinegoziare le clausole inaccettabili”, ha precisato a Fanpage.it lo storico Sergey Radchenko, che con Samuel Charap ha ricostruito la vicenda in un’esclusiva su Foreign Affairs, spesso citata per tesi che in realtà non sostiene.
Dopo la batosta subita a Kyiv, a Istanbul il Cremlino chiedeva la Luna puntando ad almeno uno sputnik, un micro-satellite. Ma la strategia delle richieste irrealistiche implica l’accettazione di rotture clamorose e delle loro conseguenze. Mosca le mette in conto. Non le considera negative in sé. Anzi: il caos alla fine gioca a favore. I politologi di Putin ne hanno fatto una teoria.
Il modello diplomatico si ripete. Putin non ha mai cambiato le condizioni legate ai suoi obiettivi di guerra. Se ottiene ciò che vuole negoziando, bene. Spara in orbita e sta a vedere. Su alcuni punti può cedere. E se salta tutto, meglio così: la guerra continua, con la proclamata certezza della vittoria e senza concedere nulla. Almeno in teoria.
"Niet" e compromessi: la guida alla trattativa
Non si conoscono ancora i dettagli del nuovo piano di pace. Ma la lista delle garanzie di sicurezza sul tavolo, resa nota dagli europei, è chiara. Qui sotto, alcuni punti. E per ciascuno la posizione della Russia, secondo quanto riferito a Fanpage.it in interviste e colloqui confidenziali da persone a conoscenza dei dossier del Cremlino – Suslov e altri.
Forza multinazionale europea per supportare l’esercito ucraino e difendere cieli e mari. Mosca dice no: niente stivali stranieri sul terreno. Impegno vincolante europeo a intervenire in caso di un futuro attacco. Accettabile per Mosca. In cambio di quelle che considera priorità: ridurre l’esercito ucraino, vietarne ogni schieramento offensivo, niente armi a lunga gittata, limiti alla cooperazione militare con NATO ed Europa.
Sostegno europeo all’adesione di Kyiv all’UE. La Russia può discuterne ma quella dell’Ucraina “deve essere solo un’ integrazione parziale”. L’articolo 47 del Trattato di Lisbona su sicurezza e difesa comune, e i programmi di procurement della difesa non devono essere estesi a Kiev. Supporto significativo alle forze armate ucraine (fino a 800.000 soldati). Niente da fare. Il Cremlino le considererebbe forze armate da tempo di guerra, pronte a nuovo conflitto. Semaforo rosso per ogni accordo che non vieti l’uso di missili in grado di raggiungere Mosca. Sistemi di difesa aerea occidentali per Kyiv: ok.
Investimenti nella ricostruzione dell’Ucraina, compresi fondi russi congelati in Europa. A Mosca sono considerati persi. Si è disposti a negoziarne l’uso, in cambio di una revoca totale delle sanzioni. Un utilizzo unilaterale da parte UE, però, scatenerebbe un’offensiva contro la società di clearing Euroclear. Il Cremlino spingerebbe Cina, Arabia Saudita, Emirati, Qatar e altri Paesi a ritirare i loro capitali, accusando l’Europa di essere finanziariamente tossica. Mentre scriviamo, il Consiglio europeo è riunito per decidere che fare dei fondi russi, per i quali ha intanto ne ha prolungato il congelamento a tempo indeterminato.
Donbass nash! (il Donbass a noi!)
E poi c’è il nodo dei territori. Putin vuole l’intero Donbass. Non transige. A suo avviso ha già concesso molto: non rivendica più le aree di Kherson e Zaporizhzhia, che i russi non sono riusciti a occupare. E può discutere ritiri da altre zone – Dnipro, Kharkiv, Sumy, Kupiansk – considerate spendibili in un negoziato. La centrale nucleare vicino a Zaporizhzhia? "Non scherziamo, quella è Russia", tagliano corto al Cremlino.
L’ipotesi di una demilitarizzazione delle aree contese non è stata respinta apertamente. Diciamo che è stata accolta con ironia : "Niente forze armate? Okey, allora schieriamo la polizia, la nostra Guardia Nazionale", ha dichiarato il capo negoziatore Yuri Ushakov. La Guardia Nazionale però è un vero esercito, con tanto di artiglieria e carri armati. Altro che demilitarizzazione.
Il prezzo della forza
La Russia punta su supremazia militare e scaltrezza diplomatica. Ma ha perso, tra morti e feriti, oltre un milione di soldati. Mosca non dà cifre ufficiali. Crescono i costi per i volontari, ma niente mobilitazione generale: Putin teme proteste. Dopo due anni di crescita superiore al 4 per cento, alimentata dall’economia di guerra, il PIL frena attorno all’1 per cento. Gli investimenti in tecnologie d’avanguardia sono minimi. “La Russia sta ipotecando il proprio futuro per sostenere il conflitto”, scrive su Foreign Affairs Thomas Graham, già responsabile del dialogo strategico della Casa Bianca con il Cremlino durante l’amministrazione George W. Bush. “Sta perdendo terreno rispetto alle grandi potenze: Cina, Stati Uniti e, forse, anche India ed Europa, con cui spera di competere nei decenni a venire”.
“Il prolungamento della guerra sarebbe nocivo per la Russia, più che per l’Occidente”, scrive Sergey Radchenko su X”. Non dovrebbe essere poi così difficile convincere Mosca dell’urgenza di fermare la carneficina. Gli Stati Uniti hanno i mezzi per farlo. Adesso minacciano sanzioni sul settore energetico, se i “niet” di Putin facessero di nuovo saltare tutto. Sono le uniche sanzioni che funzionerebbero davvero, se applicate con controlli stringenti. Difficile però che al Cremlino prendano sul serio le minacce di Trump. In passato non hanno avuto un seguito efficace. Mai un’azione concreta. E Mosca non crede alle parole.