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Bolivia, il presidente Evo Morales si arrende alle proteste e annuncia nuove elezioni

La decisione del presidente boliviano dopo le proteste di piazza e gli ammutinamenti della polizia per la sua discussa rielezione alle consultazioni del 20 ottobre. Morales ha parlato di un “piano di golpe fascista” chiedendo anche aiuto allʼOnu e al Papa per riconciliare il Paese. Finora ci sono stati 3 morti e 500 feriti.
A cura di Biagio Chiariello
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Dopo sentitane di proteste e violenti scontri di piazza, il presidente della Bolivia Evo Morales si è arreso alle richieste delle opposizioni e ha annunciato la convocazione di nuove elezioni presidenziali. A meno di un mese dalle  precedenti elezioni presidenziali, dunque, il Paese sudamericano tornerà alle urne in un clima decisamente di paura. Una decisione arrivata dopo che lo stesso Capo dello Stato ha denunciato "un piano di golpe fascista" che "esegue atti violenti" come l'incendio della casa di due governatori e di quella della sorella.

Le proteste contro la rielezione del presidente Evo Morales, accusato di aver commesso dei brogli elettorali per ottenere un quarto mandato, erano iniziate poco dopo la conferma dell'esito del voto. Sabato notte un gruppo di manifestanti avrebbe dato alle fiamme la casa della sorella del capo di Stato, Ester Morales, e quelle dei governatori di Oruro e Chuquisaca, rispettivamente Víctor Hugo Vásquez ed Esteban Urquizu. Lo stesso Morale ha denunciato e condannato dal suo account Twitter "davanti alla comunità internazionale e al popolo boliviano che il piano di golpe fascista compie atti violenti con gruppi irregolari che hanno bruciato la casa dei governatori di Chuquisaca e Oruro e mia sorella in quella città", ha detto il presidente. "Conserviamo la pace e la democrazia", ​​ha aggiunto. Il presidente ha rivelato che “gruppi organizzati” hanno preso il controllo dei media statali Bolivia Tv (Btv) e Red Patria Nueva (Rpn). “Dopo aver minacciato e intimorito i giornalisti — ha concluso — li hanno obbligati ad abbandonare le loro fonti di lavoro”.

Perché in Bolivia si protesta contro Morales

Le proteste sono iniziate venerdì pomeriggio nell'Unità tattica di operazioni di polizia (Utop) di Cochabamba e si sono estese nelle ore successive a settori di agenti di altri cinque dipartimenti. Dal giorno delle elezioni (20 ottobre) ci sono stati 3 morti e 500 feriti. Nelle settimane altre unità della polizia boliviana si sono ammutinate a Cochabamba e in almeno altri cinque dipartimenti del Paese, tra cui Chuquisaca, Tarija, Santa Cruz, Potosí e Oruro. Morales (al potere da 14 anni) ha negato i brogli (i detrattori parlano di forti difformità tra i dati conteggio preliminare dei voti e quelle che sono poi state le percentuali ufficiali) e fino ad ora si è rifiutato di dimettersi come invece chiedeva il suo principale sfidante alle elezioni, l’ex presidente Carlos Mesa. Per la giornata di ieri il presidente aveva convocato i partiti politici rappresentati in Parlamento per aprire un dialogo che puntasse a disinnescare una crisi che "si configura come un tentativo di colpo di stato". Aveva rivolto, contemporaneamente, un invito ad accompagnare questo dialogo “a organismi internazionali, all’Onu all’Osa (l'Organizzazione degli Stati americani, ndr), a Paesi di diverse parti del mondo e alle chiese", chiedendo aiuto anche al Papa perché “accompagni” questo tentativo di conciliazione.

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