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Chi è Sedat Peker, boss criminale e youtuber che sta minacciando il potere di Erdogan in Turchia

Ogni domenica, il boss mafioso turco Sedat Peker pubblica su YouTube un video in cui accusa membri del governo turco di stupri, omicidi, traffico di droga, sostegno al terrorismo. Quei video, nel silenzio dei media vengono visti da decine di milioni di persone. E il regime di Erdogan, che sembrava poter sopravvivere a tutto, non sa come gestire questa nuova minaccia.
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Segnatevi questa data: domenica 13 giugno 2021. È il giorno in cui il presidente americano Joe Biden arriverà in Turchia per incontrare il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Ma è anche il giorno in cui andrà in onda una nuova puntata della serie tv che, ogni domenica mattina, da più di un mese, sta incollando decine di milioni di turchi agli schermi dei loro computer e dei loro smartphone. È una serie che non va in onda né sui normali canali televisivi, né sulle piattaforme con Netflix o Amazon Prime. Per guardarla dovete collegarvi al canale YouTube di una persona che si chiama Sedat Peker, che di questa serie è ideatore, regista e unico protagonista.

Ci sono un po’ di altre cose curiose, attorno a questa serie. La prima cosa curiosa è che Sedat Peker è un conclamato boss mafioso, con numerosi arresti e condanne alle spalle. La seconda cosa curiosa è che in questa serie di dirette domenicali, lunghe circa un’ora ciascuna, Peker confessa i crimini che ha commesso assieme a esponenti di primo piano del governo turco. La terza, è che attorno a queste accuse, che vanno dal traffico di droga alla vendita delle armi ad Al Qaeda, dagli stupri agli omicidi, il potere politico di Recep Tayyip Erdoğan sta vacillando, come mai prima d’ora, nonostante le televisioni – di Stato e non – non abbiano mai parlato delle accuse di Peker nelle loro trasmissioni.

Chi è Sedat Peker, innanzitutto. Cinquant’anni il prossimo 26 giugno, nel 2005 Peker è stato condannato a 14 anni di reclusione per aver costruito e guidato un'organizzazione criminale dedita a racket e rapine. Non bastasse, nel 2013 è stato condannato a dieci anni – condanna annullata dopo qualche mese – anche per la sua affiliazione al gruppo ultra nazionalista Ergenekon, che stando alla corte complottava per rovesciare il regime di Erdogan. Regime di cui poi è diventato un fervente sostenitore, tanto che al suo matrimonio con la sua avvocatessa Özge Yılmaz, nel 2015, era invitato tutto il gotha dell’AKP, il partito del presidente.

Tutto questo fino allo scorso aprile. Quando, in piena pandemia, un’operazione di polizia ha portato all’arresto di oltre sessanta soci di Peker. Lui è scampato all’arresto ripiegando a Dubai. Questo, tuttavia, non ha impedito alla polizia di fare irruzione nella sua casa in Turchia, dove sua moglie e le sue due figlie sarebbero state maltrattate e umiliate dagli agenti. È questo, a suo dire, che l’ha convinto a parlare contro Erdogan e i suoi. È questo, come nei migliori plot televisivi, che ha dato vita alla grande confessione del boss contro il presidente.

Il primo video di Sedat Peker è datato 11 aprile e si intitola “Il Subappaltatore dell'illegalità inflittami è Mehmet Agar”. Per la cronaca, Mehmet Agar è un ex ministro dell’interno turco e suo figlio Tolga è attualmente in carica come parlamentare per il partito di Ergogan. Nel video, Sedat Peker, accusa Mehemet Agar, che lui definisce il vero capo del deep state turco, di aver violentato e ucciso una giovane studentessa di giornalismo kazaka e il figlio Tolga di averlo coperto inscenando il suicidio della donna. Non solo: Peker ha accusato anche Mehmet Agar di aver usato come centrale per il traffico internazionale di stupefacenti un lussuoso porto turistico di lusso di cui era consigliere d’amministrazione. Il video è stato visto da 7 milioni e mezzo di persone. Dal governo e dai media ufficiali, nessun commento.

Dopo Agar è stata la volta di altri esponenti di primo piano della classe dirigente turca al potere, come il figlio dell'ex primo ministro Binali Yildirim, che Peker sostiene essere al centro del traffico di droga dal Venezuela. E soprattuto come l’attuale potentissimo ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu, uno dei potenziali successori di Erdogan, che Peker accusa di abuso di potere e corruzione. Intanto l’audience cresce e supera gli 11 milioni di spettatori, in gran parte giovani sotto i 40 anni con un disperato bisogno di trasparenza. Il governo, di nuovo, non risponde alle accuse, lasciandole cadere nel vuoto, ma i partiti d’opposizione cominciano ad alzare la voce chiedendo spiegazioni.

Intanto la produzione della serie si affina, a partire dai titoli delle puntate. La quinta si intitola “Ogni peccato ha un angelo della vendetta”. La sesta, “La grandezza della vittoria si misura dalla difficoltà della lotta”. La settima, la più vista sinora con 17 milioni di spettatori, si intitola “Chi guarda la vita senza paura non teme la morte”. Ed è in questa puntata, quella del 23 maggio, in un climax da sceneggiatore consumato, che Peker lancia la più pesante delle accuse mosse sinora all’establishment turco: un ex consigliere per la sicurezza di Erdogan sarebbe stato alla guida di una forza paramilitare che aveva inviato armi a militanti legati ad Al-Qaeda in Siria.

È il 26 maggio quando Erdogan finalmente risponde a Peker: “Rovineremo questo gioco, queste trame. Interromperemo questa operazione subdola. Inseguiremo i membri delle bande criminali ovunque nel mondo fuggano. Non lasceremo soli questi criminali finché non li riporteremo nel nostro paese e li consegneremo alla magistratura”. La caccia all’uomo ha inizio. Peker è a Dubai, città stato che molto difficilmente concede l’estradizione e che per questo è diventato porto sicuro per i criminali di mezzo mondo, ma i servizi segreti turchi si mettono comunque sulle sue tracce. Lo sfondo dei video cambia, ed è il segnale che Peker ha cambiato l'hotel da cui trasmette le sue dirette. La caccia non toglie al boss la sua sicumera, anzi: l’ottava puntata, il 30 maggio, si intitola “Gli alberelli cresciuti dalle tempeste non vengono distrutti dai venti”.

È in questa puntata che Peker, gilet scuro, camicia aperta in puro stile Tony Montana, con un mappamondo da un lato del tavolo e una gigantesca rosa dei venti dall’altro – simboli non a caso delle Nazioni Unite e della Nato – annuncia che le puntate in cui comincerà a parlare di Erdogan saranno quelle successive al 13 giugno, giorno in cui si terrà l’incontro tra Biden e il Presidente turco: “Lo faccio per il bene della Turchia”, dice Peker. Il cui regime, dopo le proteste di piazza Taksim, il golpe fallito, la crisi economica, la pandemia, si ritrova appeso alle parole di un mafioso con uno smartphone e un treppiedi davanti a lui. Se questo è il segno dei tempi, saranno tempi interessanti.

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