Auto sui tifosi a Liverpool, 134 feriti: l’ex marine Paul Doyle condannato a 21 anni di carcere

Paul Doyle, padre di due figli ed ex commando dei Royal Marines, è stato condannato a 21 anni e mezzo di carcere per aver lanciato la sua Ford Galaxy contro la folla durante la parata per l'ultimo titolo vinto in Premier League dal Liverpool FC, lo scorso 26 maggio. L’attacco ha provocato almeno 134 feriti, tra cui diversi bambini e neonati.
Per sette minuti, in pieno centro, Doyle ha trasformato una giornata di festa in una scena infernale: tifosi travolti, passeggini schiacciati, persone intrappolate sotto le ruote dell’auto o sbalzate sull’asfalto mentre l’uomo accelerava ripetutamente contro un mare di maglie rosse.
Tra le vittime c’era il piccolo Teddy, di cinque mesi, scaraventato a diversi metri di distanza insieme al suo passeggino. Il pubblico ministero Paul Greaney KC ha chiarito in aula: “L’imputato ha guidato deliberatamente contro quel passeggino. Incredibilmente, il bambino non ha riportato ferite”. I genitori, Sheree e Dan, avevano vestito Teddy con una minuscola maglia del Liverpool, felici di condividere quel momento.
La furia di Doyle si è arrestata solo quando un passante, Daniel Barr, è riuscito a entrare nell’auto e a inserire la marcia in posizione di parcheggio. Gli investigatori hanno analizzato 276 filmati, ma la prova più sconvolgente è stata la dashcam dell’imputato, descritta dalla polizia come “la più grafica e angosciante mai visionata”. Il Crown Prosecution Service ha parlato di un atto di violenza calcolata.
Nel video, che non sarà diffuso al pubblico, si sente Doyle urlare contro la folla mentre investe persone di ogni età. Il giudice Andrew Menary KC ha parlato di un’azione deliberata:
Hai accelerato contro gruppi di tifosi più e più volte, colpendo frontalmente le persone, schiacciando arti e passeggini, costringendo chi era intorno a fuggire nel terrore”.
Non si è trattato, ha precisato, di panico o imprudenza momentanea, ma di una perdita di controllo dovuta alla rabbia.
Il tribunale ha stabilito che Doyle era determinato a farsi strada a qualsiasi costo e che, con le sue ammissioni di colpa, ha riconosciuto di aver accettato il rischio di causare gravi lesioni, anche a bambini. Il DCI John Fitzgerald ha parlato di un “disprezzo incomprensibile per la vita altrui”, sottolineando che è stato solo per fortuna se non ci sono state vittime.
Doyle ha ammesso 31 capi d’accusa, tra cui guida pericolosa, rissa e numerosi episodi di lesioni intenzionali. L’accusa ha escluso qualsiasi matrice terroristica: l’auto non aveva guasti, l’uomo era sobrio ed esperto alla guida. Anche la versione iniziale fornita da Doyle — secondo cui avrebbe agito per paura dopo un’aggressione — è stata giudicata non veritiera.
Colpisce il contrasto tra il gesto e il profilo dell’imputato: un ex militare, con una carriera professionale alle spalle e una vita familiare stabile. Un contrasto che, tuttavia, non attenua la gravità di quanto accaduto. Come ha ricordato l’accusa, quando l’auto è stata fermata alcune persone, anche molto giovani, erano ancora intrappolate sotto il veicolo.
Una bodycam della polizia ha ripreso Doyle sul retro di un furgone mentre, protetto dagli agenti, diceva: “Ho appena rovinato la vita della mia famiglia”.
In aula, le dichiarazioni delle vittime hanno restituito la dimensione reale di quei minuti: carriere spezzate, dolori cronici, notti senza sonno, ansia persistente. Un uomo ha raccontato di svegliarsi ancora sentendo un’auto arrivargli addosso; una madre ha spiegato che la figlia adolescente ora evita gli spazi affollati.
Anche gli agenti intervenuti hanno parlato dell’orrore della scena. Il sergente Sadie Harker ha definito l’episodio “l’evento più traumatico” dei suoi oltre vent’anni di servizio: “Ho temuto per la mia vita. Non mi era mai successo prima”.