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In Italia ci sono un milione di posti di lavoro liberi, e nessuno lo sa. Ecco perché

In Italia ci sono circa 1 milione di posti di lavoro lasciati scoperti, ben 1 posizione su 4. Stando ai dati resi noti dall’Indagine Excelsior – Unioncamere e Anpal, nonostante il numero di contratti sia in crescita, circa 20mila in più rispetto a settembre 2018, il 31% delle entrate previste risulta non facile da trovare. Seghezzi (Fondazione Adapt): “Serve che scuola e mondo imprenditoriale comincino a dialogare prima e a puntare sulla formazione”.
A cura di Ida Artiaco
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In Italia ci sono circa 1 milione di posti di lavoro lasciati scoperti. In altre parole, le aziende vorrebbero assumere figure talvolta altamente specializzate che però non riescono a trovare sul mercato. I dati sono stati sviluppati sulla base dell'Indagine Excelsior – Unioncamere e Anpal, pubblicata ieri, lunedì 16 settembre: nella fotografia scattata dagli esperti sul mondo dell'occupazione nel nostro Paese c'è da un lato una situazione favorevole, con numero di contratti in crescita nel mese in corso, circa 20mila in più rispetto allo stesso mese del 2018,  con un incremento di 4,8 punti percentuali da parte soprattutto delle imprese del comparto industriale e terziario, dall'altro le difficoltà da parte delle stesse nel reperire le figure professionali richieste.

Posti scoperti nonostante la disoccupazione giovanile da record

Potrebbe sembrare un paradosso: a fronte degli oltre 435mila contratti di lavoro che le imprese intendono attivare, il 31% delle entrate previste risulta non facile da trovare, con un incremento, rispetto a settembre 2018, di ben 5 punti percentuali. Insomma 1 posizione su 4 resta scoperta perché non si riesce a trovare la figura adatta. Inoltre, scorrendo il Borsino delle Professioni, si nota come siano soprattutto gli operai specializzati, in particolare fabbri ferrai, saldatori, lattonieri, come pure i tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni ad essere maggiormente richiesti e, soprattutto, difficili da reperire, con percentuali superiori al 50% se non addirittura al 60%. E tutto questo nonostante i dati sulla disoccupazione giovanile da record Italia: basti pensare che secondo gli ultimi dati Istat relativi al mese di luglio sull'occupazione, la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha toccato quota 28,9% (+0,8 punti su giugno). Su base annua invece il valore continua a scendere (-2,7 punti), confermando un trend tra i più negativi in Europa. Ma come si è potuti arrivare a questa situazione?

L'esperto: "La colpa? Il rapporto tra scuola e lavoro"

Fanpage.it lo ha chiesto a Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt, l'Associazione per favorire gli studi nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, fondata da Marco Biagi nel 2000. "Questi dati periodici sono dati da considerare su due livelli – ha sottolineato Seghezzi -. Prima di tutto questi risultati non si devono prendere per oro colato, dal momento che sono il frutto di questionari che le aziende compilano con desiderata specifiche, talvolta non tenendo conto del mercato del lavoro. E poi non bisogna dimenticare che oggi il rapporto tra mondo della formazione e imprese è diventato complicato. Serve più formazione e soprattutto serve che le aziende collaborino in maniera più incisiva e continuata con gli enti di formazione. L'incontro tra questi soggetti deve avvenire prima per poter allineare tutte le competenze". Dunque, riflettori puntati su orientamento e formazione: "In Italia – ha concluso Seghezzi – mancano i servizi indispensabili per un passaggio facile dalla scuola al lavoro. La prima ha al momento troppi limiti ed è difficile che riesca a formare a 360 gradi tutte le figure specializzate che le imprese chiedono. Sono quest'ultime che devono intervenire e concludere in un certo senso il percorso formativo. Per cui credo che la soluzione a questa situazione sia che scuola e mondo imprenditoriale cominciano a dialogare prima, magari potenziando l'alternanza scuola-lavoro o incentivando l'orientamento e la pratica in azienda. Misure, queste, che nel nostro Paese sono ancora poco utilizzate".

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