
Oggi leggerete ovunque sul web (e domani sulla stampa, col consueto ritardo e un profluvio di parole utili solo a offrire un contorno alla pubblicità presente in pagina) che la settimana si è aperta in Europa con l’ennesima giornata “di passione” per le borse, in particolare con Milano in calo del 4%, come pure per i titoli di stato dei sovrani “periferici” europei come Spagna e Italia (e infatti il Btp decennale guida a fine giornata ha visto il rendimento tornare al 6,01%, 21 punti base più di venerdì, con un allargamento dello spread di ben 33 punti base al 4,55%). Cos’è cambiato rispetto a venerdì quando tutti sembravano ottimisti dopo il “vertice salva euro” a Roma tra Monti, Merkel, Hollande e Rajoy?
Nulla o quasi, salvo che dopo le strette di mano a favore dei fotografi da Berlino sono giunte oggi una raffica di precisazioni e di “nein” all’ipotesi relativa al possibile varo a breve di misure concrete. In più aggiungete il preannuncio da parte di Moody’s di una prossima nuova serie di downgrade del merito di credito delle banche spagnole e più limitatamente il downgrade da parte di Fitch del rating sovrano di Cipro a livello “junk”, spazzatura, con outlook negativo e la frittata è fatta, con gli investitori che a giorni alterni sperano che la crisi possa passare salvo poi rendersi conto che no, non passerà tanto facilmente. Anche perché come più volte detto è ormai chiaro che il “panico” dei mercati è se non voluto quanto meno tollerato dalle autorità monetarie europee (ossia la Bce) per mettere pressione ai governi così che si vari finalmente la riforma strutturale della Ue che porti o alla definitiva spaccatura o alla nascita di un’unione anche fiscale e bancaria (e dunque politica).
Se non ci sarà certezza dell’uno o dell’altro evento, Berlino non aprirà ulteriormente il borsellino per finanziare ulteriormente i fondi di salvataggio o, ancora meno, garantire col proprio rating future emissioni di “eurobond” di qualsivoglia natura e per qualsivoglia nobile causa da parte dell’Esm. La prima ipotesi peraltro costerebbe alla sola Germania qualcosa come il 10% del proprio Pil e causerebbe il definitivo tracollo delle economie del Sud Europa (con probabile ulteriori chiusure di imprese, disoccupazione, inflazione, suicidi, ripresa di flussi migratori, etc etc), il secondo potrebbe avvenire solo previa definizione di controlli non affidati ai singoli stati (che anche oggi si è scoperto essere totalmente inaffidabili), ma a enti sovranazionali che in sostanza garantirebbero Berlino che i soldi investiti siano spesi per le finalità per cui sono stati stanziati e le misure previste in cambio vengano implementate e non restino sulla carta.
Inutile nel frattempo continuare come si dice in gergo tecnico a “menare il torrone” più che tanto. E’ evidente che la Germania, le cui banche e imprese pure comprendono bene gli effetti devastanti che anche sulle esportazioni tedesche sta avendo questa recessione autoimposta, non vuole cedere all’ipotesi di addolcire più che tanto le condizioni imposte a greci, portoghesi, spagnoli e italiani per ulteriori interventi a loro favore. E’ altrettanto evidente che Mario Draghi non vuole o non può muoversi al momento come ha fatto tra novembre e febbraio, se prima non si toccheranno nuovamente picchi di panico simili. E’ anche evidente che in Italia (e non solo) si rischia che molti dinosauri della politica a partire dall’ex premier Silvio Berlusconi provino a scaricare le colpe degli insuccessi sulle spalle dei tecnici da loro stessi voluti o votati, dimenticandosi che le colpe della crisi sono legate alla incapacità dei governi dei precedenti 15 anni di attuare anche solo una qualsivoglia riforma a favore della concorrenza e pertanto della crescita.
Inutile pure far finta di svegliarsi solo oggi da un lungo sonno e scoprire che il re è nudo: questi re li abbiamo purtroppo eletti tutti noi, in Italia come altrove, votando da almeno un ventennio le stesse facce e gli stessi partiti incapaci di varare una qualsiasi strategia volta al futuro e unicamente interessati a difendere le rendite di posizioni proprie e delle proprie clientele. Ma poiché come si dice a Napoli ci vogliono almeno due fessi perché un furbo campi, siamo al redde rationem ed avendo ormai finiti i fessi, anche i furbi dovranno adeguare la propria strategia o emigrare. A giudicare dai comportamenti messi in atto dalle diverse forze in campo l’ultima ipotesi, modello Titanic, non è la più improbabile benché sia evidentemente la più inefficiente e costosa, sia economicamente sia socialmente.
Volete smentirmi? Ho più volte ricordato come in una crisi in realtà nascano sempre nuove opportunità per chi sa coglierle e ho pure segnalato come dal basso, dalla scuola o dalle piccole e medie imprese, esempi coraggiosi che sanno guardare al futuro non manchino, eppure si fa fatica a far emergere una strategia comune basata sull’investimento in nuove competenze, in nuovi prodotti e servizi, in nuove tecnologie e modelli organizzativi, sui giovani. Ma la sola strada per superare la crisi è questa, inventarsi un nuovo e più competitivo modo di servire i mercati mondiali, senza voler a tutti i costi giocarsi la battaglia sull’unica leva del prezzo. Segnalatemi casi in cui questo avvenga, in cui l’innovazione sta facendo guadagnare terreno e creare ricchezza ai nostri imprenditori e alle nostre imprese, in cui l’onestà e la trasparenza paghino più dei magheggi e delle “amicizie”. Il capitalismo familiare italiano ha creato molto nei decenni passati ma ormai è superato, prima lo si capirà anche grazie ad esempi concreti meglio sarà per tutti, Merkel o non Merkel.
