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Coronavirus, la vera emergenza si chiama crisi economica

Miliardi in fumo. Dal Mobile Wolrd Congress di Barcellona al Gran Premio di Formula Uno, dall’import all’export, dal turismo alle filiere produttive globali, l’epidemia di Coronavirus rischia di costarci miliardi di euro. E nessuno sembra prestare attenzione all’emergenza di una crisi economica globale. Soprattutto in Italia.
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492 milioni di euro. Ecco quant’è costato il Coronavirus agli organizzatori del Mobile World Congress di Barcellona, costretti a cancellare l’evento per le numerosissime defezioni di aziende espositrici e visitatori. Una perdita a cui dovete aggiungere l’indotto mancato di alberghi, ristoranti, shopping, eventi. A occhio e croce, altrettanto, se non di più. E già che ci siete tutti i piani di marketing delle aziende produttrici di smartphone e tablet, che a Barcellona avrebbero lanciato nuovi modelli e nuove offerte. Tutto in fumo, dalla sera alla mattina. Così come sono andrebbero in fumo almeno 40 milioni di euro solo a rimandare il gran premio di formula uno previsto in Cina per il weekend del 17-19 aprile.

Può importarvi relativamente, ma il caso di Barcellona è il dito che indica l’elefante nella stanza dell’epidemia influenzale scoppiata a Wuhan: l’enorme costo economico di una pandemia globale nell’economia interconnessa e globale sulla quale si fonda la nostra prosperità.

La diciamo meglio: avete idea di quanto ci costa bloccare tutti i voli dall’Italia alla Cina e viceversa da qui ad aprile? Parliamo di 3 milioni di arrivi all’anno, ognuno dei quali  – in media – lascia negli alberghi, nei ristoranti e nei negozi dello Stivale qualcosa come 1200 euro. Complessivamente, 3,6 miliardi di euro all’anno, 4,5 secondo i più pessimisti. Da qui ad aprile, quindi, stiamo mandando in fumo, contati male, 900 milioni di euro. Soldi che sarebbero entrati in circolo nel nostro sistema economico, spingendo consumi, investimenti, occupazione.

Non bastasse, in Cina ci sono ci sono quasi 2mila imprese italiane con 190mila addetti e un fatturato di 36 miliardi, che producono – vi farà schifo, ma è così  – buona parte di quel made in Italy che esportiamo in tutto il mondo. Non bastasse, sono avamposti di un interscambio commerciale che vale 44 miliardi di euro all’anno. Per dire: un terzo dei consumatori globali di prodotti del lusso italiano è cinese e molti marchi italiani hanno chiuso i negozi in Cina. La Camera della Moda ha calcolato, sinora, una perdita di fatturato pari all’1,2% sull’anno. E siamo solo a febbraio.

Andiamo avanti, perché i guai sono appena iniziati: salvo ulteriori complicazioni, le fabbriche di automobili cinesi della VolksWagen, di Hunday, di Renault sono tutte ferme, almeno fino a lunedì, con la produzione di veicoli è stata pari a 1,778 milioni di unità, in calo addirittura del 24,6% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. Nel frattempo, nel più grande mercato globale sono state vendute in totale 1,941 milioni di vetture il mese scorso, in calo del 18% su base annua, secondo la China Association of Automobile Manufacturers (Caam). Sono chiusi gli uffici di Apple e Google, non bastasse. Così come la produzione dei fornitori di Apple, Samsung, Xiaomi è stata fortemente rallentata. Tutto questo vuol dire rallentamento dell’economia cinese, che giocoforza vuol dire rallentamento dell’economia globale. E se la seconda locomotiva del mondo si ferma, i primi a subirne gli effetti sono i Paesi che crescono meno. Indovinate qual è il Paese che cresce meno in Europa? Esatto.

Ecco perché, al netto di ogni legittima preoccupazione per l’emergenza sanitaria, il governo italiano dovrebbe porsi il problema di un’emergenza economica in arrivo, soprattutto se si parte da dati preoccupanti come quelli dell’ultimo trimestre del 2019, con un calo inatteso sia del prodotto interno lordo, sia della produzione industriale. Se queste sono le premesse – e se all’orizzonte c’è una legge di bilancio con 28 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare e un rapporto debito/Pil che rischia di impennarsi – c’è di che preoccuparsi.

In una pandemia, i primi che rischiano, quelli che muoiono, sono i pazienti più deboli, quelli che hanno malattie pregresse. Lo stato di salute del paziente Italia non aiuta a stare tranquilli. L'inerzia della politica, nemmeno.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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