Siamo stati rapiti ancora una volta dalla musica dei CCCP, band punk felicemente inattuale

L’influenza dei CCCP è talmente lunga che dal loro repertorio ha pescato anche uno come Marracash che a un primo ascolto dovrebbe essere quanto di più lontano dalla band punk anarchica capitanata da Giovanni Lindo Ferretti, invece a volte certi temi si sovrappongono e in una trilogia come quella del rapper di Barona non stona vedere citata una delle band che hanno fatto la Storia della musica italiana. Perché tra coloro che possono definirsi iconici i CCCP (poi CSI e successivamente PGR) sono assolutamente ascrivibili in questo cerchio magico e Giolindo è il leader perfetto, in tutte le sue contraddizioni o quelle che da alcuni sono state definite tali (ma lui è sempre quello che cantava profeticamente “non fate di me un idolo mi brucerò”). Perché tra le poche band idolatrate veramente in questo Parse ci sono loro.
L’ultima volta che mi era capitato di vedere dal vivo Giolindo era il 2004 e i PGR si esibivano assieme ad Afterhours e Marlene Kuntz, in quella trilogia mitica del rock italiano che negli anni 90 (i PGR pubblicano nei 2000 ma parliamo della band come prosieguo delle altre due esperienze musicali) riuscì anche a conquistare le classifiche e farsi firmare da major cantando canzoni che oggi sarebbe folle pensare cantate in contesti da migliaia di persone. La politica delle canzoni dei CCCP, il loro essere punk, abrasive, amare, con un andamento da nenia o esplosioni improvvise, sono qualcosa che rendono quell'esperienza particolare non tanto per la loro esistenza ontologica, quanto per la fama che hanno conquistato e che è rimasta anche sulle loro macerie.

Com'è possibile vedere migliaia di persone che ancora urlano a memoria le canzoni della band? In un mondo di stadi pieni di ragazzini, il concerto dei CCCP all'ex Base Nato di Bagnoli (il festival è SuoNato), a Napoli – ma sarà stato così un po' ovunque – raggruppava generazioni adulte, che non volevano perdersi CCCP – ULTIMA CHIAMATA, ovvero il tour finale della band che tornò con tre concerti a Berlino, dopo anni di silenzio, progetti solisti, isolamento quasi completo di Giolindo, accompagnato da dichiarazioni che avevano allontanato qualche fan storico (soprattutto dopo la sua presenza ad Atreju). Una scommessa vinta. Soprattutto perché l'impressione non è stata quella di assistere a qualcosa di crepuscolare, a qualcosa di polveroso, ma a un'energia in grado di riportare ai fasti di un certo rock italiano.
Un'anomalia, dicevamo, perché ascoltare i testi delle canzoni della band, sentirne l'esplosione sonora, ascoltare la voce di Ferretti, guardare le movenze dell'artista del popolo Danilo Fatur, sentire la presenza di Annarella Giudici, che canta poche volte ma non fa mai mancare la sua aura sul palco è un'esperienza che può sembrare puramente nostalgica. E forse lo è, certo. Però resta che si ha sempre l'impressione di essere in un posto magico, essere lì dove si è fatta la storia della musica italiana e non sono molte le band che possono permettersi uno standing del genere. E siamo anche coscienti che questa sensazione è data dall'età di chi scrive e dal significato che questa musica e questa band ha avuto negli anni 80-90 (anche solo come eredità), ma ce lo perdonerete.

Basta leggere i titoli dei quattro album (senza contare raccolte – che hanno creato intramontabili iconografie, come Enjoy CCCP – e album dal vivo) che hanno caratterizzati la loro carriera per capire come la semplicità non fosse un'obiettivo: 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi. Del conseguimento della maggiore età, Socialismo e barbarie, Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa e infine Epica Etica Etnica Pathos. Titoli dietro cui si nascondevano testi politici, provocazioni, l'Emilia, ci sono valzer, veri e propri inni punk, ma anche tantissima poesia, la voce di Ferretti a volte è una cantilena, altre volte un proclama ("La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere. La morte è insopportabile per chi non deve vivere").
E citare Morire ("Produci, consuma, crepa") non è un caso, perché rende esattamente alcune delle sfumature della band, ma vale per pezzi come A Ja Ljublju SSSR, Oh! Battagliero che scatena il pubblico. Ma più si va avanti in scaletta più ci si rende conto del peso che ha ogni canzone e ogni parola della band. La sequenza finale è CCCP è costituita da Guerra e pace ("E noi che siamo esseri liberi un ciclo siamo macellati, un ciclo siamo macellai, un ciclo riempiamo gli arsenali, un ciclo riempiamo i granai"), Curami, Emilia Paranoica, Spara Jurij, Vota Fatur, Mi ami?, Allarme, Noia, Amandoti, insomma, una discesa verso la perfezione. Anzi, come ha detto il mio amico Piero, rapito come forse non ci aspettavamo, dal live della band: "I CCCP sono felicemente inattuali". E credo sia la rappresentazione perfetta di quello che per l'ultima volta abbiamo visto e potremo vedere.