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Sayf: “Sto bene al mare esisteva già ma Mengoni e Rkomi l’hanno migliorata. Cantare di razzismo è fondamentale”

Sayf, di cui il nome completo è Adam Sayf Viacava, è uno dei talenti emergenti della scena rap italiana: dal successo dell’Ep Se dio vuole al feat con Mengoni e Rkomi in Sto bene al mare ha raccontato a Fanpage dei suoi inizi e di come è nato il tormentone: “Hanno cambiato delle cose, la canzone già esisteva”
A cura di Vincenzo Nasto
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Sayf, foto di Federico Earth, 2025
Sayf, foto di Federico Earth, 2025

Sayf, nome d'arte di Adam Sayf Viacava, è uno dei talenti emergenti della scena rap italiana. Figlio di padre ligure e madre tunisina, il rapper di Rapallo ha fatto una lunga gavetta di spostamenti, da Genova a Santa Margherita, per poi arrivare a Milano, prima di ritornare giù. Un viaggio che si è intersecato con figure note del rap genovese, da Tobe a Izi, passando per Guesan, con cui ha condiviso il suo primo monolocale a Milano. Poi, la pandemia e l'uscita di Everyday Struggle nel 2020, prima di ritornare, 5 anni dopo, con Se dio vuole. L'Ep ha smosso le attenzioni attorno al cantante, difficile da catalogare, anche per la sua originalità, premiata non solo da Spotify, che lo ha inserito nel programma Radar 25, ma anche da Marco Mengoni e Rkomi che hanno visto nella sua Sto bene al mare, la canzone dell'estate 2025 per eccellenza. Nel frattempo, è diventato anche il volto del Santissima Fest, lo scorso 23-24-25 luglio in Piazza delle Feste, nel Porto Antico di Genova, che bisserà anche l'anno prossimo con l'edizione 26, questa volta in una più grande location come l'Arena del mare. In attesa del suo primo album ufficiale, di cui conosciamo solo il titolo: Santissimo. Qui l'intervista a Sayf.

Mi puoi dire cosa significa Santissimo, prossimo titolo del tuo album, e quando nasce?

Nasce dal fatto che sono cresciuto a Santa Margherita (in Liguria) e c’è una statua che ho adattato a logo nel tempo, anche grazie al disegno di Guesan (nome d’arte del rapper Walter Jesus Macrillo, ndr). Da lì, quel logo è diventata “La Santa”. Avevo in mente di fare un album e chiamarlo Santissimo da 5 anni.

Si allontana quindi dalla definizione “religiosa” di Santissimo.

Sì, rappresenta la ricerca di qualcosa di positivo anche nel casino.

Come nasce invece Sto bene al mare con Marco Mengoni e Rkomi?

Quella canzone esisteva già, aveva due strofe lunghe mie e poi il ritornello uguale. Però aveva un altro arrangiamento, era una versione più acustica e scherzosa. All’inizio ero salito a Milano per inseguire questa speranza, questo sogno milanese (ride ndr). Col tempo poi sono ritornato giù con l’idea di creare qualcosa in Liguria. Bisognerebbe abbattere l’idea che dobbiamo andare lì per forza. Non è bello doversi snaturare e cambiare stili di vita per forza. In quel periodo Tobe mi pressava per salire a Milano, per la comodità degli studi, ed è nato proprio questo rifiuto della città e “mi sento meglio al mare”.

Com’è cambiata la strofa di Mengoni e di Rkomi?

Marco ha cambiato alcuni passaggi in metrica e alcune figure, riadattandole al suo personaggio. Mentre Rkomi ha scritto la strofa di sana pianta.

Rimanendo a quest'estate, mi riusciresti a raccontare cosa ha rappresentato il Santissima Festival?

È stato veramente bello, sentire il calore delle persone, mi hanno accolto come a casa. Pure gli artisti che si sono esibiti prima l’hanno vissuto, spero ci sia stato questo scambio d’energia.

Hai anche restituito alla città, con parte dei proventi del merch andato alla Brigata Alice Genova per sostenere le attività dello Spazio delle Donne.

Il successo non è una cosa individuale. Se si può creare qualcosa con gli altri, non vedo perché non farlo. Non ho particolare avidità, ho solo delle cose da sistemare nella vita.

Com’è arrivata la musica nella tua vita?

Principalmente grazie ai miei genitori: ricordo che mio padre aveva in macchina una cassetta del concerto dei PFM e di De Andrè. Poi c’era anche musica internazionale, i Dire Straits: mia madre invece aveva un sacco di cassette di musica Raï (tradizionale algerina), tra cui alcune di Nancy Ajram.

Poi compare la tromba.

Alle scuole medie ho avuto la fortuna di poter imparare a suonarla. Già lì mi era venuta in mente l’idea di scrivere uno spartito, ma faceva un po’ schifo (ride ndr). Mi incuriosiva l’idea di provare a scrivere e suonare musica, quello è stato il mio primo approccio.

Non è usuale che si insegni la tromba alle scuole medie.

Sono stato fortunato, anche perché c’era la banda e quindi potevamo scegliere di suonare la chitarra, il pianoforte e la tromba.

Chi ti ha influenzato maggiormente ai tuoi inizi?

Guesan mi ha fatto fare un salto di qualità nella scrittura, poi abbiamo condiviso tanto. C’è stato un periodo in cui abitavamo assieme a Sesto San Giovanni (Milano) con il producer Zero Vicious (nome d’arte di Walter Perfido). Avevamo uno studio in casa e a furia di parlare, di ascoltare, mi aveva dato una grande mano a capire delle cose che sono fondamentali nella scrittura. Lui è veramente forte.

E Genovarabe, il collettivo formato da te, Helmi sa7bi, Marvin, Sossy, Willy, Vincé e Laboo?

Menzione d’onore per Helmi, che ha avuto un momento caldo nel 2022, tra feat con Samara e la prima traccia da un milione di stream. Mi ricordo che mi ha aiutato psicologicamente, mi veniva a prendere a casa e mi portava con lui in giro a suonare, a fare esperienze. C’è Marvin che è bravissimo a scrivere, c’è Vincé per le melodie.

Cosa unisce Genova, Santa Margherita e la Tunisia nella tua crescita?

Lo spostamento fisico, come tutti, anche chi arriva dal sud Italia al Nord. Ho vissuto i classici periodi estivi in cui scendevo giù, da solo o con mia madre e stavamo un mese. C’è stato un periodo in cui sentivo di aver perso il contatto con la Tunisia dopo la primavera araba. Per qualche anno non siamo più scesi, anche perché c’era qualche difficoltà anche qui. Credo di non esser ritornato per almeno 7 anni. Poi trasferirmi a Genova, con tutti quelli di giù, mi ha riconnesso, riallacciato alle radici.

Com’è arrivato il salto a Milano?

A Genova non ci sono le strutture per fare musica in una maniera professionale. Anche perché poi chi ha spaccato da Genova sono andati a Milano, per poi ritornare nel tempo. L’industria è tutta concentrata lì.

Che idea avevi della città?

Avendo fatto lavori stagionali in Liguria, avevo un’idea sfalsata della città: pensavo fosse la Svizzera. Da noi venivano solo persone in camicia bianca, la tipica idea dell’industriale. Sono salito nel 2019, a 20 anni, e lì si era anche appena trasferito Izi: ci andavamo perché volevamo conoscere delle persone e cercare qualche nuova strada rispetto a Genova. Destino ha voluto che sia scoppiata la pandemia. L’abbiamo affrontata in tre nell’appartamento a Sesto San Giovanni. Poi da lì è cominciata la stagione da pendolari.

In che senso?

Centinaia di viaggi in regionale per registrare in uno studio a Milano, per incontrare qualche conoscente. Quando ci siamo fatti qualche amico, ci hanno ospitati a casa, ma era sempre un viaggio della speranza. C’erano volte in cui partivamo con 20 euro in tasca per sopravvivere per 3 giorni e poi ritornare giù. Dopo tanti pregiudizi e un leggero astio iniziale, ci sono state tante persone di Milano che ci hanno aiutato.

Ti sei accorto quando è cambiata la percezione nei tuoi confronti?

È stata una cosa graduale. Ho iniziato a lavorare con Tobe, che prima era molto vicino a Izi: ci sono dei periodi in cui salivo ed ero ospite proprio di Izi, sul suo divano. Poi col tempo loro hanno smesso di lavorare, mentre io facevo le consegne con il furgone. Tobe ha creduto in me, ha investito gli ultimi soldi della musica, 3mila euro, per pagare i video e la pubblicità. È stato importante azzeccare l’uscita di alcuni pezzi.

Per esempio?

Non escono in ordine cronologico, ci sono ancora alcuni provini vecchi che sono stati anticipati da roba nuova perché ci sembrava più adatta.

È accaduto anche in Se Dio Vuole? Che messaggio volevi mandare con questo progetto?

È una fotografia di un lancio, di come mi sono buttato e di come ne sarei uscito, appunto, se Dio vuole. Ho sempre avuto l’idea del disco Santissimo, quindi volevo farlo uscire, ma dovevamo creare attenzione, dovevamo pubblicare qualcos’altro prima.

Qual è stato il cambiamento maggiore?

Una nuova dinamica di lavoro, avere per la prima volta una direzione artistica da parte di Dibla. Mi ha aiutato a sciogliere le tracce, ad arrangiarle meglio, per far sì che la canzone sia intrattenente. Stiamo giocando comunque nell’ambito della canzone che va venduta, altrimenti sarebbe rimasto tutto nella sua versione grezza.

Vorrei toccare il tema della spiritualità: ritorna nelle tue canzoni la figura di Dio, anche se, come detto prima per Santissima, non nella sua veste prettamente religiosa.

Per me è strano, perché mio padre è cristiano ma non è credente/praticante, mentre mia madre è musulmana. Io non sono stato battezzato, ma la spiritualità è qualcosa con cui non ho subito familiarizzato. Per esempio, la preghiera prima di andare a dormire mia madre me l’ha insegnata in arabo, ci teneva. Quando ero più piccolo non era molto presente.

Dopo?

Mi ci sono avvicinato quasi casualmente. Non mi sento di rientrare in qualche categoria specifica, ma mi sento credente. Per esempio, faccio il Radaman, non mangio il maiale. Musicalmente, Se Dio Vuole ha un significato molto diverso da Santissima.

Nell’intro di Se Dio Vuole, canti: "Chi è mio amico e vota Lega, mia madre per lui è una ne***" e in passato c’erano canzoni come Il ballo dello straniero. Come ti fa sentire essere un artista che si espone su temi come l’integrazione e il razzismo in Italia?

È fondamentale, non è una roba che si può ignorare. Fa parte della mia vita, e quindi fa parte anche del mio modo di esprimermi nella canzone. Non è ricercato, è spontaneo. C’è chi magari sente altro e non si sofferma su questi argomenti, c’è chi li sente troppo e non riesce a creare delle circostanze attorno a lui, non solo come una figura che ha la necessità di educare.

Ci sono alcuni brani del tuo repertorio, penso a Città di porto, in cui viene fuori una dimensione cantautorale: è qualcosa che potremmo ritrovare in Santissimo?

Tra le bozze del nuovo album ci sono canzoni che la possono ricordare, però arrangiate in maniera diversa. Magari con strofe più incalzanti, una roba non aperta come quel brano. Diciamo che c’è l’idea, anche perché i miei primi approcci con la chitarra, che non sapevo suonare, erano proprio così. Poi ci sono parti del passato che percepisco adesso totalmente grezze, ma è anche giusto così.

Desiderio per il futuro?

Ci sono cose che prescindono dalla carriera e dalla musica, come stare bene e la salute mentale.

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