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Peter Brook rivaluta Napoli nel suo ultimo spettacolo

Peter Brook debutta con il suo ultimo spettacolo e invita a godere delle straordinarie bellezze di Napoli.
A cura di Simone Petrella
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La prima mondiale de Lo spopolatore di Peter Brook era lo spettacolo più atteso del Napoli. Teatro Festival Italia. All’ingresso del Sannazaro un pubblico entusiasta si è accalcato per prendere posto in sala, con l'atteggiamento sempre più raro di chi ha veramente voglia di vedere lo spettacolo.

Dopo il disperato tentativo di far spegnere i cellulari attraverso un messaggio in tre lingue – ma nessuna lingua ha intaccato l’ostinazione della moglie di tale Ferdinando, che impavida ha risposto alla telefonata del marito nel bel mezzo del monologo – le luci si sono spente.
Se dovessimo descrivere lo spettacolo, potremmo dire che l’attrice, in uno stato vagamente confusionale forse a causa del comprensibile imbarazzo, è entrata in scena, si è seduta su uno sgabello e copione alla mano ha letto, evidentemente per la prima volta, un testo in francese di Beckett.

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In platea il pubblico si è lentamente reso conto che lo spettacolo non rispettava le aspettative; il teatro non sembrava riempirsi di quel potere rituale che ha reso celebre il regista londinese in altri tempi. Parola dopo parola il dubbio ha lasciato il posto all'incredulità, poi alla distrazione, alla frustrazione e infine allo sconforto. La prima volta che l’attrice ha alzato il viso dal copione, accennando un tempo comico, a qualcuno è sfuggito uno speranzoso respiro che poteva anche essere un imbarazzato abbozzo di risata, soffocato dalla mancanza di partecipazione del resto della platea.

Quando le ultime parole del testo – belle, peraltro, un testo da leggere – si sono spente e l’attrice è uscita di scena, per un attimo ha regnato il silenzio. Per un momento il pubblico è sembrato unanimamente d’accordo: ho pensato che per la prima volta forse sarei riuscito a sentire fischi in teatro. Ma poi sono partiti gli applausi a dissolvere le illusioni. Applausi fiacchi, per la verità.

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All’uscita il pubblico sorrideva, poche cose più di uno spettacolo del genere possono farti apprezzare una gradevole serata al centro di Napoli, fresca ma non troppo. La moglie di Ferdinando, essendo stata finalmente rassicurata dal marito sulle sorti della serata, ha domandato all’amica: “ma che hanno fatto un mese a spese nostre a Napoli per fare uno spettacolo col copione in mano? Secondo me s’hanno mangiato tutti i giorni spaghetti e vongole sul lungomare”. Saggezza popolare.

Analizzare lo spettacolo è un’operazione complessa; la totale mancanza di interpretazione, di movimenti, di intenzioni non lascia grandi margini alle suggestioni personali. Ma ci si sente in dovere di parlarne, perché se il giudizio di un'opera dovesse dipendere solo dal passato glorioso e dal nome dell'autore invece che dal valore dell'opera stessa, probabilmente il teatro percorrerebbe definitivamente il viale del proprio tramonto. Il periodo che affrontiamo non ha bisogno di grandi nomi che a spese dei Festival impiegano un mese per realizzare uno spettacolo del genere, ha bisogno invece di chi ha veramente idee da mettere in scena, il teatro ha bisogno di chi vuole veramente fare teatro.

Dobbiamo forse ringraziare Peter Brook per averci fatto rivalutare Napoli: mai visto un pubblico così felice di uscire dal teatro, così entusiasta nel poter organizzare una pizza o un giro sul lungo mare liberato, mai visto un pubblico così attento alle venature del soffito del teatro Sannazaro. Se l'intenzione fosse stata questa, tanto di cappello.

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Sembra che il grande regista londinese sia andato troppo in là nella ricerca dell'essenziale, la sottrazione teatrale questa volta ha portato un risultato finale pari a zero; forse il celebre spazio vuoto per cui è diventato noto negli anni 6o, in alcuni casi, è meglio che rimanga vuoto veramente.

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