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Perché John Le Carré è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento

John Le Carré, scomparso ieri all’età di 89 anni, ha raccontato il mondo dello spionaggio e il cinismo della politica come nessuno prima di lui, scavalcando ben presto i confini del genere e dello scrittore bestseller. Secondo Philip Roth, il libro del 1986, ‘Una spia perfetta’, è “il miglior romanzo inglese del dopoguerra”.
A cura di Redazione Cultura
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Nel 1986, quando uscì "Una spia perfetta" di John Le Carré, Philip Roth lo definì "il miglior romanzo inglese del dopoguerra". Ciò per dire quanto ieri sera, come annunciato intorno alle 22 dal Guardian, sia stata grande una perdita nel mondo della letteratura. Ad andarsene a causa di una polmonite al Royal Cornwall Hospital, a Treliske, in Cornovaglia, non è stato quindi soltanto un grande autore di romanzi di spionaggio, nonché uno degli autori più famosi e venduti al mondo, ma uno dei più grandi scrittori in lingua inglese del ventesimo secolo. Per anni David Cornwell – il vero nome di Le Carré – ha dominato le classifiche dei bestseller con i suoi avvincenti romanzi di spionaggio, da "La spia che venne dal freddo" a "La talpa", passando per gli altri romanzi della Trilogia di Karla.

Il personaggio di Smiley, l'anti James Bond

È stato l'inventore di un personaggio tra i più amati della letteratura del ventesimo secolo, George Smiley, individuo non certamente affascinante come Bond, spesso sgraziato, un po' grasso, vestito con abiti non proprio elegantissimi, maltrattato dalla coniuge e dai capi arroganti, ma dotato di intuito, memoria e capacità investigative. Un fallito di successo, potrebbe azzardarsi a chiamarlo qualcuno. Una sorta di anti-James Bond e di Philip Marlowe del mondo dello spionaggio, Smiley è il personaggio che più di tutti spiega nelle sue contraddizioni il mondo cinico e spietato del potere silente e dietro le quinte dei servizi segreti. È una spia, certo, non di sinistra come il suo inventore, ma del suo inventore porta con sé la profonda conoscenza dello spietato alfabeto capitalista, di quello del potere militare, del cinismo spesso ottuso della diplomazia. Il mondo delle spie di Le Carré, insomma, rispetto a quella raccontata da Ian Fleming (e ancor di più negli adattamenti cinematografici e televisivi) è quasi sempre pura mediocrità, crudeltà e burocrazia all'opera.

John Le Carré: una spia di sinistra

Nel 1958 John Le Carré era diventato un agente del controspionaggio britannico, il Mi5, per poi passare nel 1960 alla struttura demandata a raccogliere informazioni all’estero, il Mi6. Mentre lavorava in Germania per l’intelligence sotto copertura diplomatica, aveva scritto e pubblicato nel 1961 il suo primo romanzo, "Chiamata per il morto". La fama mondiale raggiunta con "La spia che venne dal freddo", che rimase in testa alla classifica di diffusione per 43 settimane consecutive, gli consentì di chiudere la sua carriera al servizio della Corona e di dedicarsi soltanto alla scrittura. Era un uomo di sinistra, odiava l'establishment britannico che definì "orrendo". Attività che ha perseguito fino alla fine, con l'ultimo suo romanzo, del 2019, intitolato in italiano "La spia corre sul campo", passando da romanzi meno riusciti a veri e propri capolavori letterari, come "La casa Russia", al di là delle distinzioni di genere che finalmente, con il distanziamento dovuta alla morte di John Le Carré, cadranno per sempre, consegnando l'ex spia britannica al posto d'onore che gli spetta nella letteratura del ventesimo secolo.

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