“Mi danno fuoco sul palco della Scala”, la storia di Beatrice Del Bo, il corpo di una donna che si ribella

Milano. Snella, dritta, regale, Beatrice Del Bo si avvicina al mio tavolo in un caffè di fronte al teatro della Scala. Ha lunghi capelli neri e occhi ridenti. Attrice, ballerina, cantante e stunt specializzata in full body burn, è stata ingaggiata dalla Scala per l’opera di Shostacovich "Macbeth nel distretto di Mcensk" che ha aperto la stagione operistica. Beatrice (milanese di nascita ma berlinese di adozione) e Marie Shmitz, ballerina e stunt woman di Amburgo, appaiono solo per pochi minuti alla fine del quarto atto. Nessuno le noterebbe se non prendessero fuoco, letteralmente, nel drammatico finale. "Torce umane" le hanno definite con un termine tautologico e sbrigativo. Artiste, dico io.
Il contesto drammaturgico in cui agiscono: Katerina – lady Macbeth, la sventurata protagonista vittima di maschi brutali, decide di suicidarsi appiccando il fuoco a sé e alla rivale d’amore dopo aver cosparso di benzina gli abiti da deportate in Siberia. Beatrice è la controfigura del soprano Sara Jakubiak che interpreta Katerina (lady Macbeth). La scena è impressionante – ne sono testimone – il pubblico trattiene il fiato quando due corpi avvolti da fiamme altissime si muovono barcollando sul palco più famoso del mondo. Odore di fiamma, calore, sgomento in platea. Ma il teatro sarà sicuro? E le due torce umane rischiano la pelle? Si domanda la gente annichilita. Ho deciso di saperne di più. Perché una giovane donna, artista raffinata, bella, positiva, coltissima, ha scelto di rischiare fino a questo punto?
Beatrice, ti senti più attrice o performer speciale?
Sono un’attrice, ma sia in teatro che al cinema quando fai una scena di azione, non sei solo un’acrobata, ma resti "personaggio". Voglio dire che sei contaminata dal pathos non meno degli attori o dei cantanti. Nel finale di Macbeth io mi immergo nel ruolo di Katerina e cerco di provare le sue emozioni. Il mio volto irriconoscibile lambito dalle fiamme, esprime dolore. Ran Arthur Braun, il capo del mio team, ha suggerito a Marie e a me di emettere versi, suoni, se aiuta ad esprimere al meglio corpo e mente in una performance così estrema. Se non mi emozionassi, verrebbe meno anche l’aspetto tecnico. Ran è stato cantante lirico prima ancora di stunt, dunque conosce bene il rapporto tra recitazione-canto e performance acrobatica.
Raccontami la preparazione e la vestizione per affrontare il fuoco.
Circa un’ora prima dell’entrata in scena indosso una doppia tuta impregnata di gel ignifugo. Sono entrambe umide e gelide. Poi i miei colleghi di team cospargono il mio viso di gel protettivo. A questo punto indosso l’abito di scena identico a quello della cantante. Insieme a Marie aspetto circa trenta minuti nascosta nel camion di scena insieme a tre colleghi stunt che non ci perdono mai d’occhio. Il freddo è terribile, ma ormai ci sono abituata. In attesa della mia entrata sul palco mi concentro immergendomi nella musica travolgente di Shostakovic, nell’assolo esasperato del soprano, nel canto portentoso del Coro della Scala. La musica non proviene sola dalla buca dell’orchestra, ma da ogni lato del boccascena. Un impianto sonoro straordinario. Mi immergo così nella parte a poco poco aspettando il mio momento..
E poi che succede?
Mi avvicino con Marie al portello di uscita del furgone. Tocca a noi. Frederic Matona, assistente di Ran, prima spalma col pennello i nostri abiti con strati di gel infiammante, poi appicca il fuoco con un accendino da campeggio. Ora siamo in scena. Ci siamo trasformate in torce di fuoco. Camminiamo sul palco barcollando, le braccia protese in avanti. Marie ed io ci incrociamo. È solo guardando da vicino la mia compagna che mi rendo conto del mio aspetto terrificante.

Quali sono le precauzioni che devi adottare?
Dobbiamo camminare sempre in avanti per mantenere il fuoco alle spalle. Mai girarsi, non devi inciampare, pericolosa una piroetta, sarebbe rovinoso perché il fuoco ti aggredirebbe di fronte. Tutto deve essere calcolato, la protezione del gel dura solo un’ora.
Cosa provi in quei momenti?
Non saprei dire, sono concentratissima. Di sicuro sento finalmente calore dopo ore di gelo. Dopo alcuni secondi ci buttiamo a terra e i nostri colleghi stunt travestiti da soldati russi ci “spengono” con gli idranti. Mentre si chinano su di noi, si assicurano che stiamo bene. Poi ci coprono con coperte bagnate molto pesanti e dai nostri corpi si solleva un fumo denso che invade il bocca scena.
Ti rilassi finalmente…
Si fa per dire, l'adrenalina scende a poco a poco. Sdraiata sotto la coperta, nel buio più completo, cerco di godermi il magnifico finale. Poi il buio in sala, gli applausi scroscianti. È surreale vivere tutto questo rannicchiata sotto una coperta bagnata. A sipario chiuso Marie e io corriamo dietro le quinte verso i camerini. Anche se volessimo, non possiamo ringraziare insieme al cast, dobbiamo lavarci immediatamente. Un po’ mi dispiace.
E la svestizione come avviene?
Facciamo la doccia. Mentre finalmente ci togliamo le tute ignifughe, il personale medico osserva se abbiamo ustioni sulla pelle, se stiamo bene. È finita e ho una fame da morire. Per calmare l'adrenalina ci vogliono ore. A volte esco con gli amici e faccio notte per smaltire le emozioni.
Ma dimmi la verità. Ti piace il fuoco?
Prima di tutto mi piace il metodo, la preparazione, la disciplina, la tecnica fisica. Sono vegana, non bevo, non fumo. Oltre a fare l’attrice insegno pilates e yoga nel mio studio berlinese. Pratico pesi e ashtanga Yoga, mi alleno ogni giorno. Riesco a farlo perfino alla Scala, al secondo atto. Scendo dai camerini e me ne sto dietro le quinte ad ascoltare la musica mentre scaldo i muscoli. Il fuoco mi emoziona, lo confesso, io stessa sono fuoco, un sagittario esplosivo. Penso alle umiliazioni subite da lady Macbeth da parte di maschi senza scrupoli, entro nella sua frustrazione che appartiene a tutte le donne e divento io stessa fuoco. Questa è la parte emotiva, ma poi c’è l’esercizio, la fatica, la ragione. Non scordiamoci che dietro a Marie e me c’è un team di formidabili stunt, tra i più preparati al mondo.
I tuoi genitori che dicono?
Preoccupatissimi all’inizio, poi si sono abituati, si fa per dire.
Parlami del tuo lavoro di attrice-performer a Berlino.
Mi piacciono tutti i contesti artistici. Recentemente ho recitato un monologo di Testori, "Cleopatras" dove mi avvolgo in una corda che sfiora la gola, il busto, il viso. Una interpretazione molto sensuale. Lo scorso anno nella "Fanciulla del West" alla Staatsoper di Berlino ho danzato in aria sul cerchio. Amo anche fare performance estemporanee in locali folli che trovi solo a Berlino. Per Halloween mi sono travestita da sposa ispirandomi a García Lorca, "Nozze di sangue". Una sposa pallida cosparsa di sangue. Humour nero? Forse. Adoro la musica techno non meno di quella classica, canto Mina con ironia. Amo la vita di notte.

Che studi hai fatto?
Liceo classico e poi economia aziendale alla Bocconi. Un po’ per soddisfare i miei genitori, un po’ per il mio interesse all’organizzazione. Nel sangue però bruciava il desiderio di fare musica (grazie a papà studiavo il pianoforte), danza e recitazione. Decisi allora di iscrivermi contemporaneamente a una scuola di Musical a Bologna, la Berstein School of Musical Theatre. I primi tre giorni della settimana frequentavo la Bocconi – bilanci, matematica finanziaria – il resto della settimana ballavo e cantavo a Bologna… una follia. Trovavo il tempo anche per fare provini a Londra, Berlino, Milano. Sono riuscita a diplomarmi nelle due discipline, grazie anche a mia nonna Lidia, che ha sempre appoggiato le mie scelte estreme. E poi sono volata a Berlino, una città libera che non giudica, che rappresenta la mia anima visionaria assai più della benpensante Milano.
Ma nonostante la tua vita mirabolante, credimi, sembri una ragazza della borghesia milanese: elegante, educata, colta, chic… sempre in nero.
Se mi sento una fighetta milanese? A volte sì (ride). Non rinnego la mia origine borghese e milanese. Come avrai capito ho due anime. Razionale e metodica da un lato, selvaggia e oscura, dall’altro. Per molti anni tornavo malvolentieri in Italia, stavo pochi giorni e me ne ripartivo per la Germania con Dino, il mio cagnolino. Ma ora sono cambiata, sarà perché ho qualche anno in più. Confesso che dopo due mesi a Milano, dieci repliche alla Scala, mi sono innamorata di nuovo della mia città e del mio paese.
Ma non ti sembra vecchio e polveroso questo paese?
Al contrario! Non ci crederai ma per certi versi Milano è più giovane di Berlino. Da un punto di vista tecnologico ad esempio, la generazione zeta italiana ha fatto passi da gigante. E poi la raffinatezza dei cibi, degli abiti, la professionalità che ho trovato qui, non ha pari. I mimi a Berlino sono considerati semplici comparse, qui no, hanno una loro identità professionale ed economica. Mi piacerebbe vivere un po’ qui e un po’ là, vedremo.
Sei innamorata?
Beatrice sorride e si emoziona, così, all’improvviso. Ma non risponde. Sono le sei e mezza, deve entrare a teatro. Si allontana con passo da gazzella. Una silhouette esile, elegante, consapevole di sé, la sua. Tra qualche ora andrà a fuoco.